VENUTI NON CI CREDE

racconto giallo di Vittorio Nicoli

Quarta e ultima puntata

Poche ore dopo Venuti era nuovamente in canonica alla ricerca del parroco, esigendo un qualche chiarimento sui rapporti che intercorrevano fra Ettore e Giacomo, insospettito dalle stesse dichiarazioni che il don gli aveva rilasciato un paio di giorni prima. Dovette attendere almeno un’ora e quando il parroco arrivò aveva un’aria stanca, anche un poco stralunata.

“Buonasera don Carlo, la vedo trafelato, certo che il suo capo la fa correre molto…” Ricevette un’occhiataccia come replica, mentre il prete si asciugava il sudore “Torno dal giro delle benedizioni nelle case, sono solo e la mia parrocchia è grande. Ma mi dica, cosa la interessa commissario?” “Sono passato per un chiarimento: oggi in una miglior perlustrazione della casa della vittima ho rinvenuto una fotografia piuttosto datata di una gita dove siete assieme lei, Ettore e Giacomo. Non mi aveva detto nulla di tutto questo, non sapevo che lei fosse originario di questa città.” “Infatti non lo sono, provengo da una città vicina, ma si può dire che sia cresciuto qui. Eravamo in gita all’eremo di S.Pancrazio, saranno quindici anni fa; momenti felici prima che mancasse mio padre e poi i genitori di Giacomo. I ragazzi erano molto legati.” “Ma con il Giacomo lei che rapporti ha? So che gli affida dei lavoretti…” “E’ un bravo ragazzo, sfortunato perché ha perso i genitori prematuramente, non si meritava tanta sfortuna, mi creda un dolore indicibile ed io se posso lo aiuto. So che lei lo ha interrogato e lo sospetta, ma cosa vuole, ha un alibi.”
“Ha un alibi? A me non lo ha detto…” “ Sì, era qui in canonica con me quella sera non glielo ha detto? Strano, si vede che non lo ha ritenuto importante, è un po’ svampito, su questo le dò ragione”.

Andiamo a casa, Venuti, hai sentito abbastanza ed a questo punto stai a zero: il principale sospetto ha un alibi, il secondo possibile coinvolto tu stesso lo ritieni innocente. Certo che quella foto è strana. “Mi secca doverle dire questo, – proseguì il prete – controlli bene i precedenti dell’Ettore e qui mi taccio, sto contravvenendo ogni regola.” “Attenderò un’illuminazione divina reverendo! Grazie per aver fatto un poco del mio lavoro, mi creda presto ci sarà una svolta.” Su quest’ultima frase don Carlo, che rivolgeva la schiena all’interlocutore, si voltò all’improvviso con sguardo interrogativo, ma il sorriso sornione del Venuti lo tranquillizzò, era solo una boutade. Con passo lento, rimuginando le idee, il nostro si avviò verso casa, sempre con il bavero ben alzato a protezione del vento tagliente, come le bugie che sempre più spesso sentiva raccontare dagli uomini. Le relazioni umane sembravano ormai improntate ad una sana, si fa per dire, menzogna che permette a tutti di sopravvivere, buoni e cattivi, e rende impossibile ormai distinguere il falso dal vero.

Strada facendo prese il cellulare e chiamò Mastrolindo: “Per favore controlla i precedenti di Ettore.” “Commissario – disse l’aiutante – mi ha preceduto! Abbiamo qui un testimone che afferma di aver visto Ettore compiere l’effrazione”. Non correre Venuti, spesso le cose non sono come sembrano, spesso valgono molto più le sensazioni maturate in una vita di esperienza di quello che sembra vero: del resto non pensavi or ora che il falso… Il testimone però dinanzi al commissario confermò di aver visto una persona alta e magra che poteva corrispondere al sospetto e così mentre Mastrolindo attendeva l’ordine di andare ad arrestare l’Ettore, il commissario lo sorprese con una strana richiesta: voleva conoscere gli itinerari del parroco durante il giro delle benedizioni familiari e notizie sulla morte di suo padre, e dei genitori di Giacomo.

E’ mattino presto, deve ancora iniziare la messa e nella navata centrale della chiesa un uomo da solo cammina come misurasse i passi, ogni tanto alza lo sguardo verso il Crocifisso come volesse stabilire un contatto. Sa che sta per compiere un gesto importante e scioccante, ne ha anche un poco timore. Osserva le poche pie donne che stanno inginocchiate sulle prime panche e snocciolano incomprensibili litanie, la sua figura viene contraccambiata dai loro sguardi attenti ed interrogativi: sente il peso della sua stessa presenza errante in quell’ambiente, eppure nessuno neanche per un istante pensa di fermarlo, di parlargli, di capire. Il parroco esce dalla sagrestia ed il figuro improvvisamente interrompe la sua deambulazione e lo affronta con piglio deciso: i due confabulano alcuni secondi poi il parroco torna sui suoi passi scortato dall’uomo.

“Buongiorno Don Carlo, lei sa bene perché sono venuto, anzi direi che una parte di lei mi stava ansiosamente aspettando: la sua coscienza finalmente potrà scaricare tutta la tensione di questi ultimi giorni.” E’ un Venuti arcigno e nello stesso tempo dallo sguardo dolce, quasi amico: il bavero della giacca è abbassato dalla primavera finalmente giunta i capelli sconvolti dal venticello mattutino.

“Ormai so tutto, sono venuto ad offrirle un’uscita di scena tranquilla: conclusa la messa, io andrò via e lei svestiti i paramenti verrà al mio seguito in commissariato a costituirsi. Non ho creduto alla sua storia e neppure al suo tentativo di creare un alibi ad altri per averlo per sé : lei ha ucciso la povera Rosetta durante il giro delle benedizioni, momento che gliene dava facile occasione. La poveretta le ha aperto la sua casa ignara della vendetta che veniva a cercarla da così lontano; da quando suo padre si uccise per amore, vero Carlo? Amore della Rosetta che lo aveva rifiutato, lui che rimasto vedovo con lei ragazzo pensava di rifarsi una vita con chi conosceva da sempre, il doppio dolore lo ha ucciso e lei…”

“Ed io ho chiesto alla donna di spiegarmi il loro legame per capire, per giustificare il mio dolore; sono tornato qui per quello, dopo aver svolto attività in missioni lontane, il tarlo mi mangiava la vita, dovevo sapere. E lei si è messa a ridere dicendo che quell’uomo era sempre stato uno sciocco e ora, vedovo, pensava di poter cercare aiuto per se e per quel marmocchio con la faccia da imbecille, andasse all’inferno!”

“Così la rabbia si è impossessata di lei e l’ha strangolata con la stola. L’attendo in commissariato. ”
Con la frase laconica Venuti uscì dalla canonica prima e dalla Chiesa poi, chiedendo perdono a Dio per aver arrestato un suo servo. Ancora una volta il male ti ha dimostrato di sapersi annidare nei luoghi più impensabili, vero? Siamo deboli e caduchi mio caro, per questo abbiamo bisogno di uomini come sei tu, scettici verso tutto, scandagli dell’animo umano. A proposito Venuti, e l’effrazione? “L’effrazione è stata compiuta dal Giacomo su istigazione del parroco: se ricordi, Ettore ha detto che la Rosetta gli preparava dei piatti, doveva averne ancora uno vuoto lì in camera; Il prete la sera dell’omicidio lo ha visto ed ha progettato la messinscena della rivelazione e per rincarare la dose lo ha fatto trafugare e restituire con una scusa. Anche l’accenno ai precedenti di Ettore, piccoli furti, era funzionale all’accusa: oltre al piatto avremmo trovato in casa del presunto colpevole anche una piccola catenina d’oro che sempre Giacomo, soggiogato da Carlo, ha facilmente lasciato in casa del suo amico di lunga data. Beninteso Carlo non aveva nulla contro Ettore: era solo il colpevole perfetto.

“Ora sento il peso della vita e delle menzogne, devo fare un bel lungo giro.” disse Venuti mentre procedeva verso il commissariato, sbagliando volutamente strada.

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VENUTI NON CI CREDE

Racconto giallo di Vittorio Nicoli

III Puntata

Il mattino seguente Giacomo di buon’ora venne condotto nell’ufficio di Venuti per un nuovo interrogatorio. Era un giovane molto simile all’Ettore e con la sua aria dinoccolata lo ricordava benissimo, il commissario seduto alla scrivania lo osservava in silenzio squadrandolo da capo a piedi. Fu l’interrogato a rompere il silenzio. “ Buongiorno commissario, mi dica ci sono novità sulla morte di mia nonna? Visto l’ora presta cui sono stato convocato ritengo abbia qualcosa di importante da dirmi.”

Con le dita giocava con le asole di una maglia troppo grande per la sua corporatura e dimostrava una qualche impazienza con un movimento ritmico del piede.

“A dire il vero spero che sia lei a chiarire un poco le cose e per far luce sull’omicidio; colgo l’occasione per ricostruire assieme quanto accaduto. Vediamo: circa tre giorni fa verso l’ora del vespro qualcuno si è introdotto in casa di sua nonna, presumo atteso, e l’ha strangolata. Dico ‘presumo atteso’ in quanto non ci sono segni di effrazione e ragionevolmente non è stato rubato nulla il che mi fa propendere per un alterco, una discussione finita male.” Il ragazzo annuì col capo. “Devo aggiungere che la scientifica non ha trovato niente: nessuna impronta, manca l’arma del delitto e direi manca anche un movente forte… oppure quello c’è vero Giacomo? I soldi che la nonna non voleva più regalarle per fare questa sua vita diciamo allegra.”

Il sospetto cambiò espressione e mostrò ancor più nervosismo “Ma cosa dice? Io volevo bene alla nonna! Non le avrei mai fatto del male! E poi sono io che vi ho avvisato, lo dimentica? Ero rientrato appena in città da un impegno che avevo poco lontano, ho deciso di salutare la nonna e ho trovato la porta chiusa ma senza chiavistello e dopo aver suonato ho aperto e trovato il cadavere. Quanto ai soldi, non posso negare che di tanto in tanto mi aiutasse nelle spese.”

“Poche ciance! – esplose Venuti – Ieri l’ho vista entrare in uno dei negozi più ‘in’ della città. Vuol darmi a bere che lei ha i mezzi per certe spese? Lei che quando va bene fa lavoretti saltuari?” “ Li ho guadagnati lavorando per don Carlo!” A quella frase Venuti alzò in aria un braccio con fare quasi intimidatorio, anche se il gesto voleva tacitare Giacomo per poter pensare. “Cosa ci faceva due giorni fa in canonica? Ci siamo incrociati alla sera, sono sicuro”. “Sono andato a ritirare i soldi, quelli del lavoro. Con Carlo, pardon don Carlo, ci conosciamo da ragazzi, lui è di un paese qui vicino, anche se ha qualche anno in più di noi.” “Noi chi? – chiese il commissario. “Sì, rispetto a me, ad Ettore ed altri che frequentavamo la chiesa anni fa. ” “Quindi lei conosce bene Ettore il vicino della nonna, che è come lei un perdigiorno…” Il giovane ebbe uno scatto di rabbia ed urlò “Come si permette!?”

Mastrolindo entrò di corsa nella stanza in difesa di Venuti, ma lo trovò calmo e con la situazione sotto controllo. Questi si sono messi d’accordo per far fuori la vecchia e spartirsi il malloppo, anche se non capisco cosa potesse avere un pensionata al minimo, in questo paese è già tanto se sopravvive un tal soggetto, e non crepa di fame. Eppure sono sicuro che non sia un caso.

“Senta Giacomo, si tenga a disposizione e non lasci la città per alcun motivo. Mi saluti Ettore!” Venuti sperava di suscitare una qualche reazione che però non avvenne, il ragazzo a capo chino uscì dal commissariato claudicando. Il nostro, lasciato ai suoi pensieri, cercò di riordinare le idee. E gli sovvenne una domanda: la casa della vecchia con terreno a chi sarebbe andata? Avevano svolto un ricerca? Cominciò a scartabellare sulla scrivania e finalmente saltò fuori un albero genealogico del Giacomo, figlio unico ed unico erede della nonna. Casa di proprietà. Bingo! Ora andiamo a dimostrare che il giovane non ha trovato il cadavere, ma che l’ha uccisa magari con la complicità dell’Ettore. Bisogna tornare dal nostro Don che fa il finto tonto e mi pare sappia molto di più di quanto non dica. Sarà il segreto del confessionale. Venuti prese il cappotto e la sciarpa per affrontare una primavera che non ne voleva proprio sapere, e con buon passo si avviò verso la chiesa, certo che don Carlo avesse ancora molto da dargli. Non aveva fatto venti passi che squillò il cellulare: era Mastrolindo che lo informava che qualcuno aveva rotto i sigilli della casa della vittima. Questa sì che era un sorpresa. Venuti aveva un’aria scocciata quando arrivò alla villetta della povera Rosetta ed il suo collaboratore, avvedendosene, gli rivolse uno sguardo interrogativo: avrebbe dovuto essere contento perché l’assassino era tornato sul luogo del delitto e poteva aver commesso un errore o essere stato visto da qualcuno.

“Cosa manca?” – chiese – “ avete già chiesto in giro se qualcuno ha notato movimenti strani?” “ Commissario, ad una prima indagine nulla, e chi è entrato sapeva cosa cercare, dubitiamo ci siano impronte.” Stavolta il nostro decise di fare un preciso sopralluogo, la sera dell’omicidio doveva aver trascurato qualcosa. La villetta era su due piani, collocata appena fuori dal centro abitato e circondata da un po’ di terreno; l’interno era piuttosto trascurato ricordando tempi migliori e più manutenuti. La camera da letto verso cui rivolse le attenzioni il commissario constava di un letto ad una piazza e mezza, un armadio anche lui un po’ vetusto, un comò su cui erano appoggiate fotografie in cornice e piccole suppellettili provenienti da viaggi o regali. Avrebbe giurato che ci
fosse un piatto grande posato lì sopra, di quelli dipinti a mano. Fece un passo indietro: la visione d’insieme tradiva uno spazio vuoto, giusto quello che avrebbe potuto occupare un oggetto tondo. In quel momento gli cadde l’attenzione sulle foto: ve ne era una piccola in cui un gruppo di ragazzi era immortalato in montagna, sembrava un gruppo parrocchiale ed infatti un prete ed un suo assistente erano presenti. La prese in mano per osservare da vicino i volti: guarda Ettore, Giacomo e il pretino giovane era… don Carlo.

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VENUTI NON CI CREDE

Racconto giallo di Vittorio Nicoli

II PUNTATA

Il giorno seguente, di primo mattino Venuti era già operativo e la differenza con il suo assistente Mastrolindo era ben evidente: alla raffica di domande cui il malcapitato era sottoposto, questi opponeva un viso ebete e stralunato come se fosse capitato in quel momento in commissariato per caso. Si venne così ad appurare che il buon Mastrolindo non aveva troppo badato al vicino della vittima ed aveva svolto un’indagine sommaria: Venuti mancò poco se lo mangiasse. “ Porca miseria! Già il caso è complicato, noi in aggiunta non battiamo neppure le piste logiche e ci vuole un parroco ad aprirci gli occhi! Sveglia!”

L’assistente si offrì di correre lui dal vicino, ma il commissario lo fermò con piglio deciso e con la netta inclinazione del corpo a dire: vado io, e così fece. Già aveva mentito al parroco, – “Venuti sarà mica peccato? Sai, la menzogna non è una bella cosa inoltre dalla bocca di un tutore dell’ordine… “- dicendo di aver svolto quello che non aveva fatto. Meglio adesso sincerarsi di non aver veramente agito in modo superficiale. In una decina di minuti era alla casa dell’Ettore, un giovane sui trent’anni che aveva scelto come professione principale il cerca-lavoro e secondaria quello che capitava. Venuti lo conosceva di vista e lo stesso valeva per molti in paese: era in fondo il suo mestiere e stentava a credere che lui potesse aver fatto del male all’anziana vicina.

Bussò con decisione alla porta, anche se c’era il campanello, ma il nostro era troppo pensieroso, distratto dall’idea del possibile pranzo e dove consumarlo: brutta bestia la fame e per lui una condanna sin da bambino, neanche fosse nato in tempo di guerra. Ettore si presentò all’uscio con la camicia fuori dai pantaloni, capelli arruffati ed aria assonnata. Andrebbe d’accordo con Mastrolindo, al mattino sarebbero la coppia dei rincoglioniti.

“Buongiorno commissario a che debbo la sua visita? Mi ha già interrogato il suo sottoposto, ma io non ho nulla da dire, ero a casa quel pomeriggio e non mi sono mosso.”

“Buongiorno Ettore: quello che ha detto la rende senza alibi a patto che qualcuno fosse qui con lei…” “Ma io non avevo nessun motivo per far del male alla Rosetta, quando passavo a casa sua mi regalava sempre qualcosa da mangiare, la torta piuttosto che la pasta fresca.” “Tagliamo corto Ettore e andiamo al punto: – disse sgarbatamente Venuti – come vanno le sue finanze? Che io sappia non lavora da parecchi mesi e proprio lei mi ha detto che passava spesso dalla vittima e magari avrà saputo dove l’anziana teneva il gruzzolo…” “Eh?? – Il volto di Ettore era decisamente sorpreso ed ora anche un po’ spaventato – Io…io…” “Si tenga a disposizione, per adesso la saluto” tagliò corto Venuti.

Ti diverti ad impaurire i poveretti adesso? Lo avrai visto lo sguardo sgomento di quel tizio, e con tutti i tuoi anni di esperienza ben saprai che neanche lontanamente è colpevole, non avrà alibi, ma non è lui il tuo uomo.

Lasciato Ettore, il commissario decise di fare due passi nel centro città per ragionare in solitudine, osservando il flusso della vita come se le fosse esterno, alieno al mondo. Gli riusciva molto bene non avendo tutta questa necessità di relazionarsi con il prossimo, in ispecie quando cercava di riannodare le fila del discorso di un delitto.

Stava attraversando la via principale per raggiungere il ristorante di Orazio, un locale oggi alla moda, ma un tempo un’onesta fusione fra osteria e ristorante, dove poteva gustare il suo piatto preferito, la carbonara. Improvvisamente, osservò davanti a sé un incedere claudicante in un giovane che lo precedeva e che entrò in un negozio di abbigliamento, solitamente frequentato dalla classe abbiente. Gli sovvenne che la sera precedente un tale lo aveva incrociato verso la chiesa e la voglia di capire chi fosse costui lo portò ad entrare, anch’egli inventando un pretesto per osservare il soggetto. “Che abiti chic Venuti! Stai finalmente diventando un uomo di classe. Lo so che non può essere, tu sei nato istintivamente ritroso e scontroso anche nell’abbigliamento.”

“Buongiorno, vorrei vedere quella giacca in vetrina, grazie.” Intanto gli occhi ruotavano alla ricerca di chi lo aveva preceduto: eccolo anche lui con un completo elegante addosso, ma guarda è il Giacomo! La cosa si fa interessante.

Venuti a sorpresa farfugliò una scusa ed uscì di corsa dal negozio, lasciando la commessa fra lo stupito e lo stizzito, e si indirizzò al ristorante con un umore adesso più sollevato.

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VENUTI NON CI CREDE

Racconto giallo di Vittorio Nicoli

Ed ecco un nuovo racconto giallo, con protagonista il commissario Venuti. Riuscirà anche questa volta a trovare il colpevole? Lo scopriremo nelle prossime puntate, buona lettura!

Prima puntata

Venuti entrò con circospezione, avvolto dal suo cappotto scuro con bavero rialzato, in difesa degli spifferi freddi di quella strana primavera in ritardo. Gli occhi dei presenti su di lui immediati ed interrogativi a dire “cosa fa qui il commissario?”. Proseguì fingendo altro, ma ben sapendo che nessuno da quel momento lo avrebbe lasciato, cento mastini addosso a dilaniare le carni. Avanti non esagerare, si chiedono solo cosa fai qui, del resto erano anni che non ti vedevano in chiesa e sei pur sempre un commissario. A proposito Venuti ti sei convertito? Cosa stiamo qui a fare? Era vero: da quando sua madre lo aveva lasciato pressoché solo al mondo, il nostro aveva troncato ogni rapporto con la Fede, sentendo quel mondo lontano ed incomprensibile, anche un po’ falso. Era lì perché lo aveva convocato il parroco per un’importante rivelazione riguardante ovviamente il suo lavoro; di più non sapeva, attendeva di poter colloquiare con il reverendo alla fine della funzione. A sorpresa si accorse di ricordare le risposte meglio di alcuni fedeli a lui vicini, complice la sua ottima memoria di chierichetto bambino: sapeva quindi molto bene a che punto fosse la messa. All’ ite missa est – ormai formula in disuso – si raccolse nel cappotto e con passo deciso ma rispettoso raggiunse la canonica, dove Don Carlo si stava spogliando dei paramenti e di fatto attendeva quel momento dalla comparsa del commissario.

“Buongiorno padre Carlo, – esordì Venuti – eccomi come mi avete chiesto ieri al cellulare, spero non sia per acquisire un nuovo fedele perché, sappiatelo, sarebbe tempo perso”. La solita grande simpatia pensò il parroco, glielo avevano riferito in molti e adesso poteva testare di persona il soggetto: ruvido come la cartavetro quest’uomo. “Buongiorno commissario, le ho chiesto di passare perché ho una importante rivelazione da farle, mi auguro solo che lei abbia la cortesia di ascoltare senza ironici e caustici commenti. ” Venuti ti fai conoscere proprio da tutti, vero? L’umanità ti vuole bene e ti abbraccia sempre al primo incontro; certo ti hanno dipinto bene i parrocchiani. “Vedo che la sua idea del sottoscritto non è proprio, come dire, positiva, eppure padre mi creda non sono io il cattivo in mezzo ai miei simili…comunque dica pure. ”


“So che sta conducendo l’indagine sulla morte della povera Rosetta, ecco credo di avere importanti novità per lei.” Venuti alzò un sopracciglio ed inclinò lo sguardo verso don Carlo, sorpreso che il parroco potesse venire meno al segreto della confessione, rivelando fatti o persone. Questo don era un uomo strano, a suo modesto avviso. Piuttosto giovane e di bell’aspetto, giunto appena un anno prima in città, estremamente attivo e, dalle informazioni che aveva, benvoluto dai parrocchiani. Quanto alla Rosetta, era un caso aperto da alcuni giorni e si presentava come un brutto rompicapo: una donnina anziana, sui settanta, trovata soffocata nella sua abitazione senza segno di effrazione e neppure di rapina. La casa era in ordine e del resto ben poco ci sarebbe stato da rubare: la vittima era piuttosto povera, una piccola pensione, qualche risparmio e un orticello dove coltivava poche cose per le sue necessità. L’indagine, dopo aver sentito i parenti stretti, si era arenata: un balordo avrebbe messo a soqquadro l’ambiente, ed i familiari non avevano movente. Aguzza l’udito Venuti, qui arriva una svolta… tanto da solo non ci saresti arrivato…

“Ecco, – riprese il parroco – io non posso dirle nulla di quanto conosciuto in confessione come certo lei sa, ma qui la confessione non c’entra: il Signore ha trovato una strada per fare sì che io diventassi un aiuto per lei. Mi ha consentito di riconoscere l’assassino mandandomi un segno durante la funzione di domenica scorsa. Un raggio penetrato dalle vetrate ha colpito una persona rivelandomi il colpevole come avevo richiesto nelle mie preghiere, ero molto legato alla Rosetta, andavo spesso a trovare quella buona donnina tanto giusta e pia.” Per poco Venuti non svenne. Aveva un senso di capogiro ed una rabbia montante… “Mi prende in giro reverendo? Il raggio di sole e la preghiera? Guardi che non stiamo giocando, abbiamo un omicidio!” Calmati, calmati dai! Forse puoi trarre informazioni anche da questo discorso folle, ha affermato che spesso andava a trovare la vecchietta. “Uhm mi scusi… che dire… alquanto strano… per curiosità di chi si tratterebbe? Non potrei in alcun modo usare il suo metodo, ma ovviamente come tutti i detective sono curioso.” Venuti provava con le parole calme a dissimulare il nervosismo che lo pervadeva, don Carlo non se ne era avveduto.

“Si ricorda quel giovanotto vicino di casa, l’Ettore, ma sì quello strampalato lungagnone: ecco la Luce ha mostrato lui.” “Non capisco padre, ho interrogato personalmente quell’uomo e non ho trovato nulla di strano, fatto salvo che era uno dei vicini di casa, abitando a cinque minuti a piedi dalla Rosetta. Che beneficio avrebbe tratto dalla sua morte e perché l’avrebbe uccisa? Lei che idea si è fatto di questa rivelazione celeste?” “Venuti, ironizza? Crede che io mi inventi le cose e la meni per il naso facendole perdere tempo?” “Per carità, le consideri valutazioni a voce alta, non si offenda. Procederò ad un supplemento di indagine sul quel tale. A proposito di personaggi stralunati: lei sa qualcosa del Giacomo, il giovane nipote della Rosetta? Lui mi convince poco e sarebbe l’unico con un seppur debole movente: la nonna gli pagava i vizietti, – come ho appurato – magari voleva qualcosa di più.” “No, ho poco da dire: ecco è un po’ come lei in chiesa non si vede quasi mai, ma chiederò ai parrocchiani, se otterrò qualcosa di interessante la contatterò.”

Venuti uscì dalla canonica scuotendo il capo sconsolato. Il parroco si era rivelato un esaltato e l’indagine restava allo stesso punto; mentre rialzava il bavero per proteggersi dal vento tagliente si accorse che una figura nell’ombra gli era scivolata vicino procedendo di passo spedito verso la chiesa. Impossibile identificarlo, notò solo che claudicava.

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LA STRUTTURA

Racconto giallo di Vittorio Nicoli

Siamo giunti alla soluzione di questo giallo, che, ne sono sicuro, vi sorprenderà! La prossima settimana inizierà un nuovo racconto di Vittorio, con protagonista il commissario Venuti. Buona lettura!

Quinta ed ultima puntata

In quel momento, mentre stava percorrendo a piedi la strada verso il commissariato, il cellulare lo disturbò: era Bianchi, il quale lo informava che nella ricerca che aveva chiesto c’era in effetti un riscontro. Venuti sogghignò fra sé:  la nebbia poteva forse diradarsi e si poteva cominciare a capire il movente. Infatti circa un anno prima era mancata per cause naturali un’altra ospite del gerontocomio, la signora Bismati. E qui al commissario venne in mente che forse le cause naturali non erano, e che le tre vittime potevano avere un qualche legame con la quarta.

In realtà i controlli negarono in parte quell’eventualità: solo la Tiretti aveva un punto di contatto con la Bismati, erano state compagne di camera, ma furono confermati i sospetti di Venuti, il decesso era avvenuto in circostanze diciamo non ben chiare e velocemente archiviato.

Nel frattempo il pedinamento del Cipriani aveva portato ad un risultato sospetto: giocava troppo spesso somme piuttosto alte; i controlli telefonici avevano evidenziato dei contatti con gli eredi della Rossi. 

Tornò nell’ufficio del Pizzi il giorno seguente per esaminare il dossier Bismati. “Dottor Pizzi buongiorno! Come va la love story?” Pizzi per poco non se lo mangiò e in modo scortese rispose  “Che vuole commissario?”

“Il dossier Bismati, dovrebbe essere nel suo ufficio…” Pizzi sbiancò e la risposta fu eloquente. Farfugliò, poi finse di cercare e disse che qualcuno lo aveva messo fuori posto, che avrebbe cercato. Venuti sorridente gli disse “Ci vediamo in commissariato! E’ convocato per il pomeriggio assieme alla sua amante”, e qui si fece una grassa risata. Appena uscito chiamò in ufficio e chiese di convocare anche il Cipriani, chiedendo il mandato per perquisire casa e auto. 

Siamo al pomeriggio, sono passati 4 giorni dall’ultimo delitto e finalmente il nostro ha capito come si sono svolti i fatti e chi è il colpevole.

Dinanzi a Venuti si trovarono i tre indagati e subito la Marchesi si mise a strillare innocenza ed a minacciare allo stesso tempo: Venuti la guardò da capo a piedi, giusto per rifarsi gli occhi, poi la zittì.  “Ascoltatemi adesso! Poi eccepirete quello che ritenete. Cominciamo con il nostro primo colpevole il Signor Cipriani: è lui infatti ad aver ucciso sia la  Rossi sia la Belli, vero?”

Cipriani provò a negare con il capo, ma Venuti lo bloccò: “Inutile che neghi, abbiamo trovato le due armi del delitto fra i suoi utensili!  Sì, lei li ha ripuliti, ma le macchie del sangue si possono ritrovare con esami sofisticati, poi ci sono i contatti con gli eredi della Rossi o dovrei dire presunti tali: la poverina aveva fatto testamento per lasciare tutte le sue sostanze alla Chiesa, ma lei lo sapeva perché glielo aveva incautamente confessato quando ancora lavorava in struttura, ed è scattata l’occasione. Ha contattato gli eredi ed in cambio di una forte somma in contanti l’ha uccisa, anzi le ha uccise tutt’e due per confondere meglio le acque! Per far credere ad un assassino seriale, e per sviare le indagini, anche la malcapitata Belli ha dovuto morire senza alcun senso. E qui ecco arriva il colpo di genio del dottor Pizzi…” A questo punto il dottore sbottò “Ma lei farnetica! Io non c’entro nulla con questi omicidi!” “Infatti – proseguì Venuti – lei è implicato nel terzo che ha scimmiottato i primi due.“ “Ma che dice? Ma per quale movente? Lei ha bevuto, caro il mio commissario! ” il dottore urlava ma la voce tradiva emozione e paura. 

“Niente affatto, il suo movente nasce dal caso Bismati: la poverina è stata mal curata da lei ed è morta per la sua incapacità, ma era compagna di stanza della povera Tiretti, che non era così assente come lei mi ha descritto, anzi poteva essere una scomoda testimone. Per questo alla fine ha sperato di coprire il terzo omicidio da lei commesso nell’ombra degli altri due del Cipriani. Sì, perché lei aveva capito le intenzioni del Cipriani  ed avrebbe probabilmente indirizzato le indagini verso di lui. Prima però doveva far sparire la cartella clinica, e nella cassaforte a casa della Tiretti stava proprio il dossier che la incriminava, abilmente nascosto dalla signora Marchesi, che lei ha pagato per il silenzio e per averle fornito un nascondiglio sicuro; nessuno poteva accedere alla cassetta perché lei aveva messo le mani sulla chiave della Tiretti il giorno che era stata uccisa.”

“Lo provi, – disse Pizzi – la sfido”.  

“Abbiamo trovato nell’auto la restante parte dei soldi in contanti che ha dato alla Marchesi: sì, i ventimila per pagare la vettura, sa noi scoviamo le somme anche sotto il sedile dell’auto di servizio della Struttura. Mi dica signora Marchesi, lei è complice? La incrimino per concorso in omicidio?”

La Marchesì sputò subito fuori “ E’ lui, che per la sua incompetenza ha fatto tutto, io con l’omicidio non c’entro!”

“Bene, questo mi pare basti! Bianchi e Verdi prendete in consegna i signori, redigete il verbale, io vado a fare due passi, manca l’aria! Tre povere morti per ingordigia ed insipienza, una addirittura priva di ogni movente…”

Come è triste l’umanità, vero Venuti? Ci si vende per pochi spiccioli, si uccide il proprio simile per negligenza o interesse: anche i parenti più prossimi possono tradirti per aver ciò che non gli appartiene. Ma tu dovresti saperlo eppure non ti anestetizzi mai, hai sempre un senso di nausea che dà vertigine innanzi ai piccoli abissi dell’umanità. Adesso ti specchi in una vetrina di un bel negozio del corso e vedi che la tua immagine non viene riflessa: tranquillo, presto tornerai.

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LA STRUTTURA

Romanzo giallo di Vittorio Nicoli

Quarta puntata

Erano passati due giorni, l’ultimatum era scaduto, ma la pista immaginata per ora gli aveva concesso un supplementare.  Venuti, davanti allo specchio come molte mattine, stava compiendo il rituale della rasatura cui accompagnava i più svariati pensieri e ricordi. Ma non quella mattina. Sapeva che i dossier delle uniche due persone afferenti alle vittime erano posati sulla sua scrivania ed aveva già avuto modo di esaminarli, senza trovare nemmeno un’attinenza minima con nessuno dei tre defunti.

Fattene una ragione, non sei una mente brillante amico mio! Adesso il procuratore e quello sciocco dottore potranno deriderti e in sincronia pressarti per un risultato che non vedi. Però ecco…valuta che se nulla unisce i tre casi molto probabilmente non sono collegati.

Alle volte l’assurdo è più probabile di quanto si pensi. Come la realtà che noi tutti viviamo e riteniamo assolutamente vera, fatto salvo che nulla effettivamente lo provi. Bisognava interrogare i due ex dipendenti per analizzarli ed eventualmente trovare un movente. Il commissario aveva una certezza: uno dei due era l’omicida ma mancavano movente e collegamento. Dai dossier sapeva che erano un uomo, tal Cipriani, di mezz’età, sposato, senza precedenti penali ed avvezzo a cambiare spesso mestiere per l’attitudine innata a cercare di scansare il lavoro. La seconda una donna, di cognome Marchesi, piuttosto giovane anche lei sposata e con un bimbo piccolo, aveva prestato opera per molti anni nella struttura.

Decise che avrebbe cominciato da lei, visto che i suoi uomini avevano già trovato e portato in commissariato entrambi i sospettati.

Bella non lo si poteva dire, occhi piccoli e poco espressivi , un naso piccolo ma anonimo, un fisico per contro molto evidente ed apprezzabile pensava Venuti. “Quindi mi dica, per quanti anni ha prestato servizio nella struttura di via Grado? Come mai si è licenziata circa sei mesi fa? Rapporti e contatti con le tre vittime? “ Osservava le reazioni anche minime nel volto e nei gesti della giovane. “Non ho avuto alcuna relazione dopo il licenziamento e non sono mai tornata in quel posto, dove ero sottopagata e sfruttata per tutti i lavori. Sono un’infermiera diplomata ma dovevo svolgere i compiti dell’inserviente, ci crede nove o dieci ore al giorno con un bimbo piccolo! E come facevo? Appena trovato di meglio sono scappata. Le tre vittime certo che le ricordo, la Tiretti poi era amabile!”

Si vedeva che non le importava nulla, ma non tradiva nessun sentimento ulteriore. Ci si era cavato poco se non una discreta lustrata di occhi.

Cipriani era un quasi vecchio e lo mostrava tutto nell’aspetto e nel morale, si diceva avesse una discreta attitudine al gioco d’azzardo e la ricerca di soldi lo portasse al cambio frequente di impiego. “Mi dica Cipriani prima ha derubato le poverette e poi le ha uccise? Il movente ci sarebbe con il gioco…” Voleva vedere… ma l’indagato si fece una risata e rispose: “Come potevo fare? Ormai son mesi che sono lontano da via Grado, e poi avrete  fatto un controllo di quello che manca se manca…” Anche lui decisamente appariva tranquillo. Bene. Resteranno a disposizione si disse Venuti, prese il cappello, alzò il bavero della giacca ed uscì dal commissariato a prendere aria e sistemare le idee.

Setacceremo i loro conti correnti e di sicuro troveremo un traccia; diamine, sono sicuro che uno dei due è l’assassino, devo trovare almeno un’arma del delitto, perquisiremo le abitazioni e le auto, qualcosa salterà fuori. E poi le telefonate fatte e ricevute, ci sarà qualcosa.

Suonò il telefono cellulare proprio nel pieno flusso dei pensieri; era il sostituto procuratore per conoscere gli sviluppi degli interrogatori e non ne fu felice, l’ultimatum stava scadendo senza che nulla fosse accaduto. Invero due sospettati adesso c’erano e Venuti era sicuro di avere nelle mani un colpevole : doveva trovare il legame. Appunto.

Nel pomeriggio esaminò gli estratti dei conti senza cavare nulla, chiamò allora due fidi brigadieri e dopo averli messi al corrente della situazione, li sguinzagliò dietro ai due sospetti rimessi temporaneamente a piede libero. “Voglio che li seguiate anche al cesso! Dovete contare  gli spaghetti che mangiano, insomma tutto ma proprio tutto, dovete controllare appuntare e riferire. Amen”.

Questi nostri eroi dello spionaggio – chiamiamoli Verdi e Bianchi – non potevano essere più diversi, non li accomunava nulla, nemmeno il calcio, solo una cosa : l’estrema pignoleria e diciamo l’amore per il loro lavoro.

Verdi era un uomo piccolo di statura e minuto di fisico, con due occhi azzurro mare e folti capelli castani : prese in consegna il Cipriani e lo osservò per tutta la giornata, fra il bar sotto casa, cappuccino e brioche, in giro per la città a far la spesa al supermarket con la moglie e ancora dal portone di casa, mangiando un panino in piedi. Pomeriggio interessante in una sala scommesse, con Verdi a capire come funzionassero i meccanismi del gioco visto che mai lo aveva praticato, osservando come la fortuna aiutasse il sospetto, uscito con un piccolo gruzzolo senza aver lavorato un minuto. Beato lui!

Bianchi purtroppo per lui non sfuggiva alla vista degli altri : era alto due metri circa, con grossa corporatura e calvo, – Venuti quando era in vena lo chiamava Mastrolindo – per i pedinamenti doveva veramente usare gli stratagemmi migliori. Con la Marchesi però ebbe una fortuna sfacciata: il mattino appena scese le scale ed uscita di casa si recò in un autosalone e ne uscì dopo un’ora buona. Bianchi decise di capire di più con il titolare e lo interrogò : aveva prenotato un piccolo suv del valore di trentamila euro, un po’ tanti per una famiglia che viveva in un piccolo locale in periferia. L’auto sarebbe stata consegnata fra nove mesi – ormai il mercato funzionava così – ed il fatto divenne ancor più sospetto.

“ E bravo Mastrolindo! – disse Venuti – abbiamo una pista, almeno un movente. Con cautela domani perquisiamo l’abitazione quando sono tutti via, lo so, lo so, non abbiamo mandato ma non voglio insospettirla. Dirotto Verdi a tallonarla, tu perquisisci mi raccomando!!”

Gongola gongola ma non sai quasi nulla, però se trovi la copia delle chiavi e magari un’arma del delitto la interroghi di nuovo e qualcosa spunta!

In quello gli sovvenne una nuova idea.

L’esito dell’ispezione in casa non autorizzata fu insperato ed inatteso allo stesso tempo: venne rinvenuta la chiave di una cassetta di sicurezza, ma nessuna copia del doppione della struttura come Venuti per contro sperava. Qui entra in gioco l’idea di cui abbiamo detto: il commissario aveva fatto perquisire nuovamente le abitazioni delle vittime, facilitato dal fatto che solo due possedessero  un immobile, ed i suoi uomini avevano rinvenuto una cassetta di sicurezza murata di proprietà della Tiretti. Cosa potesse custodire era difficile da dire: una volta aperta si presentò vuota.

Venuti nel suo ufficio si rigirava fra le mani la chiave incriminata in attesa che i suoi uomini gli portassero la Marchesi. Lo incuriosiva la reazione della donna dalla quale sperava di poter capire molto di questo mistero.

“Buongiorno Sig.ra Marchesi oggi la sua eleganza è notevole – in effetti la donna era vestita con un capo firmato, che stonava un poco con le sue confessioni precedenti – sarà per festeggiare l’auto nuova giusto?”

Per nulla impressionata la donna non declinò risposta in attesa che il nostro proseguisse. “ Conosce questa chiave??” il tono della voce del commissario si era di molto alzato. “Era in casa sua giocava a cu-cu-sette! Allora, apre la bocca e mi dice qualcosa? Come la spiega e che cosa è?”

“Come si è permesso di perquisire casa mia senza mandato? Passerà dei guai, guai grossi!” la voce era decisa, ma lo sguardo mostrava per la prima volta un’incrinatura nella sua sicurezza.

“La smetta di minacciare me, pensi a lei perché  adesso è lei nei marosi! Scommetto che apre una cassetta che non le appartiene! Collabori o saranno problemi enormi”.

La Marchesi stavolta farfugliò che era il doppione che apriva la cassetta di sua sorella…”Errore! – urlò Venuti – so cosa apre, la smetta di menarmi in giro, come è arrivata a casa sua?”

Qui l’indiziata si trincerò nel silenzio ben sapendo che con così pochi elementi il commissario non poteva trattenerla e a dirla tutta Venuti sperava proprio quello: questa volta l’avrebbe pedinata di persona. Quando questa uscì, ancheggiando dal commissariato, venne presa in consegna dal Verdi per non destar sospetti, ma già sotto casa era all’attenzione del nostro.

Tempo mezz’ora la Marchesi era nuovamente fuori a piedi, stavolta abbigliata in modo anonimo, e si diresse a passo lesto verso un telefono pubblico. Venuti fu lestissimo ad annotare luogo ed ora; Bingo! Ora sì che ci siamo, vediamo chi sta dall’altra parte ed il gioco è fatto.

Tempo due ore aveva il tabulato ed il numero chiamato: sorpresa! Era quello del Pizzi. Bravo il nostro dottore, così ci sei tu dietro a questa storia…sì ma in che modo e perché? E poi l’unico legame è con la Tiretti, e le altre due vittime? Cosa c’era nella cassetta di sicurezza? Troppe domande senza risposta. Necessita un nuovo interrogatorio con quell’ameba di dottore, almeno so di fargli un dispetto!

Un’ora dopo si faceva ricevere con molta insistenza dal Pizzi che si presentò decisamente irritato e la cui irritazione aumentò alle domande non proprio gentili del nostro.

“Quale relazione c’è tra lei e la signora Marchesi?”

“Nessuna, ha lavorato da noi mesi fa, non ricordo”

“Quindi il fatto che le abbia telefonato oggi è un caso, ha sbagliato numero! Dottore mi prende in giro?!”

Qui il Pizzi fece una smorfia e rispose: “ Abbiamo avuto una relazione che si è interrotta pochi giorni orsono.” Venuti sorrise e disse “ Bene prendo atto che siete amanti, vedremo. Adesso la saluto caro il mio professore e la lascio alla sua movida serale”

Pizzi decisamente impermalosito lo accompagnò alla porta con fare scortese e gliela sbattè alle spalle.

Chi credi di fregare dottorino, la Marchesi per quanto non sia di classe ad uno come te non gliela fa neanche vedere! La tua reazione mi fa capire che c’è altro, ma devo capire cosa stava nella cassaforte e chi adesso ha il contenuto.

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