da Giovanni Ollino | Ago 27, 2024 | cronache, Cronache Grottesche
L’IDENTITA’ DI SPECIE
Una importante notizia ci giunge oggi dalla Commissione Pari Opportunità del Parlamento Europeo, chiamata a deliberare su delicati aspetti della vita nei paesi dell’Unione, in tema di uguaglianza e dignità di tutte le persone, indipendentemente dal gruppo sociale a cui esse appartengono.
Finalmente, dopo anni di dibattiti, proteste e polemiche, alcune anche violente, e dopo un confronto serrato tra le parti politiche andato avanti per ben due anni, è stata promulgata la nuova legge che riconosce l’identità di specie, regolamentandone inoltre l’attuazione nella quotidianità e nel mondo del lavoro.
Sostanzialmente, dopo la normativa che sanciva il completo riconoscimento e la difesa dell’identità di genere, con una serie di tutele per favorire a tutti i livelli l’affermazione dei diritti LGBTQIA+, è stato licenziato un decreto che estende tali garanzie ai cosiddetti “therians”, e cioè agli individui che si considerano animali intrappolati in corpi umani, comportandosi di conseguenza, travestendosi come l’animale che ritengono di essere e adottando uno stile di vita simile ad esso.
Per anni chi si vestiva e comportava come un animale (l’esempio più frequente erano persone che si identificavano in cani, addobbate con tute comprensive di coda, che camminavano a quattro zampe, abbaiando invece di parlare, mangiando per terra da ciotole, ecc.) era considerato qualcuno con problemi personali, se non mentali, che aveva la necessità disperata di affermare la propria individualità in un mondo dove si è sempre più anonimi, e quindi veniva automaticamente escluso dalla vita produttiva, deriso e discriminato.
Invece, fortunatamente i nostri rappresentanti in Europa hanno adesso sancito che si tratta di persone particolarmente sensibili, meritevoli di tutela e rappresentatività, emanando questa legge: pertanto, già come successo con l’identità di genere, anche per l’identità di specie dovranno cessare tutti gli aspetti discriminatori nei confronti di chi non appartiene alla maggioranza che ancora si identifica come umana; vi saranno corsi di orientamento nelle scuole per trovare in modo sereno e indipendente una propria collocazione di specie; nei documenti di identità non dovrà più essere dichiarato il sesso, e si potrà invece indicare la specie animale alternativa alla quale si appartiene; infine, sui luoghi di lavoro, saranno obbligatorie le assunzioni e gli avanzamenti di carriera per quote di persone che dichiarano di non appartenere al genere umano.
Il Parlamento ha in questo senso – a nostro avviso in modo veramente meritorio – deciso di dare il buon esempio, eleggendo a capo della Commissione Pari Opportunità una parlamentare francese, nata donna, ma recentemente auto-dichiaratasi prima non binaria, e poi anche appartenente alla specie delle libellule, la quale con grande coerenza ha deciso di andare a vivere presso uno stagno, ed ha inoltre partecipato alle ultime riunioni politiche con un costume che riproduceva le fattezze dell’insetto, comprensivo di ali trasparenti e membranose, interagendo con i colleghi soltanto tramite il ronzio caratteristico della libellula.
A nostro modesto avviso si tratta veramente di un grande passo per l’attuale società.
Il riconoscimento di libertà complete a tali livelli è decisivo, ed esprime compiutamente il grado di democrazia che il nostro continente è riuscito a raggiungere, esplicativo di una società che integra chiunque senza lasciare indietro veramente nessuno, a qualunque specie appartenga, per cui ci sentiamo onorati di poter dare in anteprima questa notizia eccezionale al mondo.
(Comunicato dell’Ufficio Stampa del Parlamento Europeo, settembre 2026)
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da Giovanni Ollino | Ago 20, 2024 | cronache, Cronache Grottesche
I VELOCIPEDI
La nostra è la società dell’istante, della velocità, tutto è volatile e in rapida trasformazione: discorsi, emozioni, messaggi, occupazioni, pensieri; persino le relazioni affettive, che infatti durano sempre meno e tendono ad essere sempre meno solide.
Siamo continuamente in movimento e di fretta, per i mille impegni che prendiamo, andiamo sempre avanti e indietro alla ricerca di qualcosa, senza sapere però esattamente che cosa. Corriamo quotidianamente, con l’affanno alla gola e l’ansia costante, per portare a termine tutti i compiti che ci siamo dati, fare bella figura sul lavoro, in famiglia, nella vita privata come in quella pubblica.
Certo, il nostro stile di vita è ormai profondamente cambiato rispetto ai ritmi di vita della civiltà contadina, dove il passare del tempo era scandito dalle ore di luce della giornata, il tutto ormai accelerato dall’avvento della tecnologia e della società consumistica, che rendono più agevoli molti lavori, ma spesso non ci permettono di godere della quiete, tipica del contatto con la natura, ormai una chimera nella rutilante esistenza cittadina.
Eppure, ci manca qualcosa che ci renda felici, tutta questa ossessione per la rapidità non ci basta, rende solo più schizofreniche le nostre giornate, ma noi continuiamo spesso a sentirci inadeguati.
Un fenomeno recentemente studiato a tal proposito, che rende in modo plastico l’isteria di questo periodo storico, è quello della velocità dei pedoni nei tratti urbani: si è riscontrato, tramite statistiche aggiornate, che, soprattutto nelle città, la velocità di spostamento delle persone a piedi è notevolmente aumentata negli ultimi decenni, e ormai si attesta a valori nettamente superiori alla media storica del passo della popolazione umana, stimata intorno ai 5 km l’ora, con alcuni casi di punte superiori ai 10 km orari.
Abbinato a questo, un altro fenomeno inquietante: sempre maggiori sono gli incidenti tra passanti che si scontrano camminando, e addirittura si è notato un incremento consistente degli attacchi cardiaci che avvengono per strada, a causa dello sforzo eccessivo della camminata; tale impressionante fenomeno ha una accelerazione soprattutto nei giorni lavorativi e al mattino, evidentemente durante il tragitto verso il luogo di lavoro o gli edifici scolastici.
Si è così raggiunto il paradosso di una diminuzione nei centri urbani della velocità automobilistica, ridotta recentemente, grazie ai nuovi limiti presenti in particolari zone, sino ai 10 km orari imposti per legge (spesso addirittura complicata da mantenere, con auto sempre più potenti), mentre quella dei pedoni tende ora in alcuni casi a superarli.
Pertanto, alcuni comuni sono stati costretti ad introdurre norme per regolamentare anche il traffico pedonale, con l’istituzione di zone a velocità massima per pedoni di 8 km all’ora, e persino di alcuni cartelli di segnaletica riservati a chi viaggia a piedi, in modo che questi ultimi non possano superare i mezzi motorizzati e rischiare scontri tra pedoni e tra pedoni e auto…
Sono infine stati istituiti controlli in merito, effettuati elettronicamente da speciali apparecchiature dislocate lungo le strade, chiamate pedisvelox, con la possibilità, in caso di violazione, di contestazione differita inviata al domicilio del pedone, identificato tramite un sistema di riconoscimento facciale.
Tutto ciò non è forse un segno distintivo di questi nostri tempi, tanto frenetici?
(articolo apparso su una nota rivista automobilistica degli anni ’20)
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da Giovanni Ollino | Ago 12, 2024 | cronache, Cronache Grottesche
L’ELOGIO DELLA SOLITUDINE
La solitudine, come valore e obiettivo a cui tendere, sta diventando uno dei nuovi miti della nostra civiltà.
La possibilità di impiegare il proprio tempo nella parziale o totale assenza di altre persone, e quindi senza distrazioni, senza sottostare a compromessi, e senza dover tollerare diverse abitudini e stili di vita rispetto ai nostri, è sempre più apprezzata e ricercata.
Questo fenomeno si innesta nella società attuale, caratterizzata da ritmi sempre più stressanti e incalzanti, dove la ricerca di quiete e silenzio appare spesso una chimera, con la necessità a volte di effettuare una introspezione psicologica in noi stessi, e nelle nostre nevrosi; ma probabilmente i fattori che lo determinano rientrano anche nel cambio di struttura sociale e del tipo di vita che si conduce nelle città, dove i rapporti umani sono più fugaci e difficili da mantenere rispetto alla tradizionale società contadina.
Spesso, alla rarefazione dei rapporti si abbina anche la loro superficialità, a causa della mancanza di tempo, ma anche per la disgregazione della famiglia tradizionale, sostituita da forme di convivenza temporanee e succedanee, volte ad un’ottica di più breve respiro, con inoltre sempre più nuclei familiari composti da una sola persona.
Sicuramente però, in tutto ciò ha giocato un ruolo di primo piano l’avvento della società dei consumi, basata appunto sulla produzione e sul consumo di beni, con la necessità di creare sempre nuovi bisogni da appagare, e quindi anche la necessità di guadagnare sempre di più, per soddisfare maggiori necessità di consumo.
La desertificazione dei sentimenti ha creato più ansia e insicurezza, soprattutto nelle giovani generazioni: le classi dirigenti, i responsabili delle grosse aziende, e i maghi della pubblicità sanno bene che i vuoti lasciati dalla mancanza di rapporti e relazioni vanno colmati in qualche modo, essendo l’uomo sostanzialmente un animale sociale, per cui hanno mano libera nel proporre nuovi prodotti, e indurre falsi bisogni nelle menti dei consumatori, sempre più ridotti da persone a cose, con l’unica funzione di far girare un’economia drogata, riempita di articoli inutili e a volte nocivi (vedasi ad esempio gli abnormi consumi alimentari dei paesi più sviluppati).
Ovviamente, il tutto è ora amplificato dai media, strumenti potentissimi che convogliano i comportamenti verso determinate scelte, rendendo i loro fruitori ancora meno liberi e sempre più solitari, esaltandone l’individualismo.
E, a tal proposito, è di recente attuazione l’inserimento nella Costituzione dell’Unione Europea – fortemente voluto e approvato all’unanimità da tutti gli schieramenti politici – del cosiddetto “diritto alla solitudine”, che esalta la condizione di solitudine come strumento indispensabile di dialogo con sé stessi, e la proclama diritto inalienabile dell’essere umano.
Ma tutto ormai pare orientare lo stile di vita verso forme di alienazione dalla vita comunitaria: i grandi centri urbani sempre più anonimi rispetto ai centri storici precedenti, la mancanza di veri spazi di aggregazione, i palazzoni dove si abita senza sapere se dall’altra parte del corridoio il vicino di casa sia ancora vivo, i computer e cellulari che permettono di isolarsi dalla realtà circostante; addirittura i mezzi pubblici sono fatti per mantenere le distanze: ad esempio nei treni, con i sedili distanziati che hanno sostituito gli scompartimenti, i quali creavano vicinanza e permettevano la socialità tra i viaggiatori; le epidemie di Covid, vissute in modo traumatico da molti, che hanno acuito tale ricerca di distanza per ragioni di sicurezza; infine, anche a seguito delle stesse epidemie, la nuova organizzazione del lavoro basata sullo “smart working”, il lavoro da casa fatto in totale solitudine, che ha ulteriormente accentuato l’isolamento individuale.
In questo alveo di asocialità si innesta l’impossibilità di comunicare e di creare empatia dell’uomo moderno, che si trova da solo con i suoi problemi e nessuno con cui condividerli, per cui sono fioriti recentemente molti social network, i quali permettono di esprimere i propri stati d’animo e le proprie idee, però purtroppo senza approfondimento e senza dibattito, ma solo con la volontà di affermare in qualche modo la propria identità, spesso urlata, e a volte anche con l’insulto gratuito a chi non avvertiamo come simile a noi.
Il paradosso attuale è questo: viviamo in un’era in cui la comunicazione è estremamente sviluppata, e abbiamo la possibilità di interagire con chiunque dall’altra parte del pianeta, ma si tratta di un colloquio superficiale, spesso senza dialogo, fine a sé stesso, dove prevalgono le comunicazioni mediate dalla tecnologia. Del resto, le relazioni umane autentiche sono complesse, comportano lo sforzo di comprendere l’altro, sacrificio e mediazione, spesso ci impauriscono con la loro difficoltà, mentre quelle digitali semplificano in modo elementare le cose, permettendo di evitare un vero confronto, che sarebbe invece alla base della crescita personale.
Gli esempi negativi in questo senso si sprecano: si va dall’aumento degli incidenti automobilistici, ma anche con mezzi pubblici, per distrazioni dei conducenti legate all’uso sempre più compulsivo di cellulari e tablet, spesso diventati dei veri e propri prolungamenti del corpo umano; ai fenomeni di depressione, studiati sulle persone che non ricevono abbastanza visualizzazioni e consensi alle loro pubblicazioni social; alla totale estraniazione dalla realtà di molti ragazzi che si creano identità digitali, con nomi e immagini finti sul web, grazie ai quali affermano una realtà virtuale diversa e a loro più congeniale, ma poi trasportano tale finzione anche nella quotidianità, finendo per vivere ai margini della società e divenire dei disadattati; al fiorire di relazioni amorose su internet, dove ci si frequenta solo virtualmente, senza approfondire il rapporto e senza nemmeno vedersi nella vita reale di persona, spesso arrivando persino al sesso voyeuristico, consumato a distanza, sempre comunque rigorosamente da soli, ognuno all’interno della propria stanzetta, in rassicurante solitudine; per arrivare addirittura ai suicidi di persone che avevano smarrito il cellulare, considerato come l’unico vero amico, ancorché non umano, che racchiude tutto l’universo dei propri pensieri, ricordi e passioni, e senza il quale la vita perde quindi di significato.
Insomma, quel fenomeno aberrante, che uno psicologo anni fa aveva preconizzato, definendolo “la morte del prossimo”, sta inesorabilmente prendendo piede, e appare sempre più difficile un ritorno alla riscoperta di genuini rapporti umani, basati sul confronto e la socializzazione.
(ESTRATTO DA UN SAGGIO PUBBLICATO NELL’AGOSTO 2024)
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da Giovanni Ollino | Ago 7, 2024 | cronache, Cronache Grottesche
IL BUDGET
Sempre questa parola mi era apparsa soffocante, violenta, ossessiva: il budget!
Che fosse inteso come obiettivo da raggiungere, come risultato economico da inseguire, o come dato di vendita da ottenere sul lavoro, mi pareva che ormai tutta la mia vita, e quella del mondo nel quale vivevo, ruotasse intorno a questo concetto, assurto a regola ferrea da rispettare, e tutti ormai si conformassero a tale supremo valore, o disvalore.
Io, povero impiegato sulla soglia della mezza età, ricordavo a malapena i giorni felici della fanciullezza, dove non c’era un budget da raggiungere, e non bisognava vendere o farsi vendere nulla da nessuno, ma semplicemente godersi la vita, accontentandosi di studiare, giocare, e apprezzare l’affetto dei propri genitori.
Tutto questo però con l’età matura era rapidamente finito, e, una volta entrato nel mondo dei grandi, tutta la mia vita lavorativa era stata permeata dalla dittatura del conto economico, che nell’azienda di servizi in cui lavoravo era sempre più portata all’eccesso, classico esempio peraltro della cultura capitalistica e sempre più liberista imperante. Le pressioni alla vendita dei prodotti nei confronti dei dipendenti avevano raggiunto il livello del parossismo, ed io, come peraltro quasi tutti i miei colleghi, vivevo sempre più con angoscia la mia occupazione.
Addirittura, il concetto di budget si era esteso agli altri aspetti della vita in comunità, per cui adesso tutti cercavano di fare l’affare, nelle relazioni, come nella famiglia, persino nella scelta del partner o degli amici, ognuno finiva per effettuare un proprio calcolo mentale, estremamente assimilabile al concetto di budget, per quanto questo potesse sembrare cinico.
Ero sempre più stanco e disgustato di tale stato di cose, e avevo cercato in vari modi una salvezza, con la religione, la scienza, l’adesione ad un sindacato, ma anche in tutte queste esperienze avevo riscontrato la ricerca di un risultato a tutti i costi, che mi inseguiva ovunque.
Alla fine, mi risolsi, per estrema reazione, ad iscrivermi come volontario ad un collettivo di chiara ispirazione marxista-leninista, gestito da una società di mutuo soccorso: qui almeno si criticava in modo chiaro, e senza secondi fini o scopi di lucro, la società ultracapitalistica attuale, avente il denaro e il potere come unici valori; e giustamente la schiavitù del budget veniva violentemente attaccata come simbolo di una decadenza morale, in antitesi con i valori comunisti, improntati all’uguaglianza di tutti gli uomini, considerati come fratelli e compagni di lotta, e non produttori o consumatori di beni.
Finalmente mi ritrovavo con persone che la pensavano come me, anche se forse in modo un po’ più estremista, con le loro teorie dell’applicazione del comunismo reale a tutti gli aspetti del quotidiano, e mi sentivo inserito in un contesto che idealizzava la caduta di quel sistema diventato marcio, basato sulla vendita e sull’utile a tutti i costi realizzato nel più breve tempo possibile.
Vissi per alcuni mesi il periodo più felice e sereno della vita, sin quando gradualmente la situazione iniziò a cambiare, e mi accorsi che la realtà era in fondo molto più complessa e difficile da modificare. Il collettivo presso il quale prestavo servizio cominciò ad avere problemi di bilancio, e anche di affiliazioni: i soci erano sempre più anziani e quindi alcuni abbandonarono, non c’era molto ricambio, ed iniziarono a scarseggiare i volontari e anche i fondi per le attività prestate gratuitamente sul territorio, a favore dei più disagiati.
Per questo si tennero, sempre più frequentemente, riunioni febbrili organizzate dal direttivo, per ovviare a tale depauperamento di risorse umane e finanziarie, con richieste dapprima leggere, ma via via sempre più esplicite e incalzanti agli iscritti di reclutare nuovi adepti, di vendere testi che pubblicizzavano le loro idee, di raccogliere finanziamenti anche porta a porta, e così via.
Mi sembrò perciò di precipitare nuovamente in un incubo che già conoscevo: anche nell’ambito di un’organizzazione che aveva solo intenti di solidarietà, ripudiava fermamente l’accumulo di denaro, e dove persino la proprietà privata veniva considerata un furto, si era finito per avere una serie di budget, con le solite pressioni sempre più pesanti ed estenuanti nei confronti dei sottoposti, laddove gli obiettivi non si riuscivano a raggiungere.
Certo, in questo caso i responsabili dell’organizzazione comunista erano convinti di agire per il bene comune e volevano solo continuare la loro opera e fare bella figura nei confronti degli altri aderenti, non essendo mossi dalla necessità di un profitto, ma purtroppo, non riuscendo a ottenere grossi risultati, i loro metodi ben presto si uniformarono in modo inquietante a quelli dei capi azienda, le cui idee avrebbero voluto contrastare.
Dopo ulteriori tensioni, totalmente esasperato, finii per licenziarmi dal lavoro, e mi dimisi anche dal circolo anti-capitalista, adattandomi ad osservare gli altri che tentavano di ottenere il loro risultato economico, e accontentandomi di quel poco che avevo messo da parte per poter sopravvivere, senza più sogni ma nemmeno budget.
(da un blog di privato degli anni 2020-2030)
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da Giovanni Ollino | Lug 30, 2024 | cronache, Cronache Grottesche
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I DIFENSORI DEL PIANETA
Ha suscitato scalpore la recente legge approvata dal Senato Usa che intende cambiare la normativa sugli investimenti con criteri ESG, punendo penalmente chi dimostrerà di seguire tali criteri nel futuro per le scelte di investimento.
Come molti di Voi sapranno, l’acronimo ESG sta per Environment, Social, Governance, intendendo quindi il rispetto di determinate regole in materia di ambiente, sociali in genere, e di corretta gestione dell’azienda e dei rapporti con clienti, fornitori e dipendenti. Negli ultimi anni la finanza ESG è stata portata ad esempio per l’abbinamento tra la ricerca di rendimento e la salvaguardia di norme morali e ambientali, e in tutto il mondo sono sorte normative che la regolamentano e la favoriscono, con molti fondi di investimento internazionali che si sono fregiati a lungo della relativa qualifica.
Soprattutto il tema ambientale, con i devastanti cambi climatici in corso, che stanno modificando e addirittura mettendo a rischio la vita dell’uomo sulla Terra, è particolarmente sentito da tutti, in modo particolare dalle nuove generazioni, preoccupate per il loro futuro.
Eppure, molte banche, fondi e aziende hanno verificato due ordini di problemi inerenti agli investimenti ESG: spesso le limitazioni di tipo morale e ambientale penalizzavano le società statunitensi, di solito particolarmente spregiudicate e poco responsabili in tal senso; inoltre, escludere determinati titoli, non rispondenti ai parametri richiesti, comportava lo scegliere in un universo investibile inferiore, precludendo la massimizzazione dei rendimenti.
Perciò, malgrado i fondati timori di tutte le popolazioni, i governanti dello stato più ricco e potente del mondo, hanno appena deciso di fare un voltafaccia completo con tale legislazione, la quale impone pene pesantissime per i gestori di portafoglio che manterranno anche i parametri ambientali nelle scelte di investimento; questo, secondo i regolatori, al fine di tutelare le aziende domestiche e non penalizzare il ritorno atteso di fondi di investimento e fondi pensione.
Tutto ciò in barba a tutti i costi, le limitazioni, e i sacrifici nello stile di vita che i cittadini hanno dovuto subire recentemente, per cercare di difendere in qualche modo il nostro pianeta dai cambiamenti climatici.
Addirittura, lo stato americano ha deciso di infliggere sanzioni penali durissime, che potranno arrivare sino all’ergastolo, per chi reitererà nelle scelte di investimento la selezione dei titoli seguendo la tassonomia ESG, sovvertendo quindi completamente e in modo brutale la normativa precedente.
Per non essere da meno, la Cina, lo stato divenuto ormai diretto concorrente nella competizione mondiale, oltre che seconda economia del pianeta, ha pensato bene di introdurre leggi ancora più severe per le aziende, i fondi di investimento, e le banche che discriminano le società in base a parametri ambientali: in questo caso le possibili condanne massime prevedono addirittura la pena di morte!
Insomma, pare essere finita la moda green, che ha tenuto banco per anni: in un’ottica estremamente miope, volta al soddisfacimento di bisogni egoistici a breve termine, si è deciso che l’unica cosa importante è fare soldi, mentre alla difesa del pianeta ci penserà eventualmente la generazione successiva, sempre se ci sarà ancora qualcosa da difendere.
(articolo del 2024, tratto dal sito internet della più nota associazione ambientalista del periodo, “Greenpeace”, poi sciolta d’imperio pochi anni dopo per decisione unanime delle principali nazioni)
da Giovanni Ollino | Lug 23, 2024 | cronache, Cronache Grottesche
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LA WOKE CULTURE
La cosiddetta cultura “woke” sta permeando e influenzando i comportamenti del nostro tempo, in maniera sempre più pervasiva e a volte contraddittoria: tale termine – entrato nel lessico comune come simbolo di correttezza e di attenzione alle ingiustizie sociali – sta assumendo in certi casi una connotazione negativa, a causa degli eccessi provocati.
Nato nei paesi anglosassoni dal termine “awake”, risveglio, per sintetizzare soprattutto le lotte degli afroamericani per i diritti civili e politici, si è esteso a tutto il mondo occidentale, significando la ricerca delle nuove sensibilità sull’uguaglianza di genere, le battaglie per la non discriminazione di persone lesbiche e gay, il revisionismo storico nei confronti degli invasori europei (rei di aver cancellato le culture di molti popoli nativi), la tutela di tutte le minoranze, ecc.
Negli ultimi tempi però la parola woke è simbolicamente legata agli eccessi del politically correct, che sempre di più sta assumendo le forme di una nuova dittatura: nato per eliminare ingiustizie e forme di discriminazione, si è gradualmente trasformato in una battaglia ideologica, a volte persino grottesca, contro tutto ciò che può confliggere contro i diritti di ogni minoranza, finendo per assurdo per creare nuove discriminazioni ed esclusioni dalla vita politica, culturale e sociale, nei confronti di chi non rispetta tale dittatura della forma.
Si è partiti dall’abbattimento delle statue di Cristoforo Colombo negli Usa, in quanto simbolo del razzismo e del colonialismo, tipico caso di “cancel culture”, passando al cambio di genere della maggior parte delle parole del vocabolario, per trasformarle dal maschile – avvertito come oppressivo e simbolo di cultura patriarcale – al genere neutro, sino ad arrivare ad alcuni eccessi addirittura ridicoli.
E così, nelle scuole è stato vietato l’insegnamento di molti classici, dai greci ai latini, da Dostoevskij a Proust, in quanto nelle opere – spesso capolavori assoluti dell’umanità – sono presenti violenze, stupri, discriminazioni di genere e di censo, e termini non politicamente corretti.
In tutti i Parlamenti occidentali, e in molte imprese multinazionali, si sono introdotte quote obbligatorie, rappresentative dei 99 generi sessuali attualmente riconosciuti, con tutto ciò che questo può comportare in termini di meritocrazia.
Tutti i film, telefilm, spettacoli teatrali, e in genere opere di finzione, sono al momento sottoposti ad una rigida censura, che ne valuta il frasario per renderlo omologato alla cultura woke, e in molti casi ne modifica persino la trama, non ritenuta ad essa consona, col risultato di trasformarla spesso in un guazzabuglio incomprensibile.
In alcuni paesi dell’Unione Europea, nel continente storicamente simbolo della libertà e democrazia, sono state introdotte leggi ferree per la tutela dei comportamenti ritenuti eticamente corretti, come l’arresto per le coppie etero sorprese a baciarsi all’aperto, in quanto apportatrici di comportamenti discriminatori nei confronti degli altri generi sessuali.
Infine, persino le maggiori religioni hanno dovuto adeguarsi a tale dittatura della correttezza formale, estendendo il ministero religioso a tutti senza distinzioni, e modificando addirittura alcuni dogmi ritenuti discriminatori, poiché basati su idee retrive e patriarcali.
Insomma, una cultura della forma a tutti i costi, che diventa sostanza, ma peggiorando la realtà: nata per eliminare le differenze tra gli uomini, finisce invece per acuirle, per reazione, e per incapacità di trovare una mediazione tra la tutela delle minoranze e il buon senso.
Questo stesso articolo probabilmente verrà censurato, e non potrà mai essere pubblicato, alla faccia del diritto alla libertà di espressione.
(articolo scritto da un noto giornalista, per il Washington Post, nel gennaio 2025, ma mai pubblicato, in quanto bloccato dalla implacabile censura degli Stati Uniti d’America, all’epoca considerati lo stato maggiormente garante dei diritti civili e di espressione)