LA STRUTTURA

Racconto giallo di Vittorio Nicoli

Terza puntata

Venuti tornò nel suo ufficio in commissariato e con gesti inequivocabili vi si chiuse per non essere disturbato; quindi si versò un bicchierino del suo amaro preferito e sorseggiandolo cominciò a riflettere sulla situazione.

Doveva cambiare lo sviluppo logico della sua indagine perché così non si giungeva ad alcun risultato, doveva invertire il sistema di indagine.

In quel mentre entrò il sostituto procuratore ovviamente furioso ed agitato, che vedendolo sorseggiare un liquido nero in apparente rilassatezza lo apostrofò: ”Bravo, beva pure tranquillo, abbiamo solo tre morti e lei….” Al lei si fece paonazzo in volto. Venuti pacato e come suo solito fastidioso proferì: ”Un goccio per calmarsi? Fa bene alle coronarie e poi renderebbe a lei tutto più facile con i mass media”.
“Lei, Venuti, si comporta da stupido! Sa benissimo che mi stanno addosso; bene, le do’ ventiquattr’ore poi la solleverò dall’incarico. Così smetterà di fare facile ironia.”
“Amen!” disse il commissario e riprese a sorseggiare il suo amaro e a riflettere sulla situazione lasciando il sostituto procuratore lì in piedi come un cretino. Infatti in poco uscì lasciando il nostro in pace.


Devo sapere in modo certo tutto sulla vita della Rossi, morte e miracoli come si suol dire, va cercato un punto debole nell’azione di questo assassino e bisogna capire cosa va cercando e se per caso lo abbia trovato, perché di una sola cosa sono certo: le stanze perfette o in soqquadro nascondono una ricerca.
Chiamò il suo aiutante, un ragazzotto giovane e sveglio e gli chiarì il piano di azione: recuperare ogni informazione sulla vita dell’ultima vittima, trovare ogni possibile riscontro con tutti i dipendenti della struttura (in tutto una dozzina), capire se qualcuno di questi fosse presente in tutte le date degli omicidi. L’aiutante preso nota si mise subito al lavoro, quanto a lui si riservò una ricostruzione patrimoniale delle tre vittime, era sicuro che gli omicidi nascessero da un interesse materiale.
Contattò quindi nuovamente la casa di cura per avere il dettaglio del pagamento delle tre rette, cosa che lo avrebbe portato agli istituti bancari, e con l’autorizzazione del giudice ad una conoscenza dei valori in ballo.

Riuscì facile togliere uno dei tre nomi: la signorina Belli non possedeva conti, solo una piccola pensione che le Poste dirottavano al conto della casa e che bastava solo in parte, la differenza la versava il Comune. La Rossi deteneva un conto presso una grande istituto bancario nazionale di cui lo stesso Venuti era cliente: qui in via del tutto informale gli venne chiarito che le somme erano importanti e gli aventi causa ingordi. Per la Tiretti gli venne in aiuto la fortuna: in camera nei controlli avevano rinvenuto un estratto conto che tradiva una buona posizione, ma certo non un grosso capitale.

Approfondiremo, chiedendo comunque tutti i rapporti per sicurezza ma…Venuti era visibilmente demoralizzato.
Gli consegnarono il rapporto della scientifica: omicidio avvenuto per strangolamento, nessuna impronta, nulla di nulla, come per gli altri due: sembravano opera di un fantasma.
Stramaledizione! Se dalla tracciatura dei dipendenti non risulta nulla siamo in presenza di un fantasma che uccide, e non credo possano interessare i soldi a chi ha nell’incorporeità la sua essenza. Ma i fantasmi non esistono Venuti! Agiscono solo al cinema, nella realtà ci sono uomini e donne in carne ed ossa che compiono atti orribili per vendetta, invidia o danaro. Ma che diavolo potevano aver compiuto tre povere vecchie che neanche si conoscevano? Chi poteva volerle morte? Non c’era un motivo che le accomunasse. Unica strada nell’immediato era sistemare alcuni agenti ai vari piani onde evitare ulteriori omicidi, anche se la struttura ed i parenti erano ostili a quella decisione e l’avevano impedita nei casi precedenti, ma adesso non potevano più opporsi.


Venuti raggiunse la propria casa in serata, stanco morto e con sempre meno tempo nel suo carniere; abitava al secondo piano e decise di salire con lentezza le scale, ma al quarto gradino gli sovvenne della posta e, tornato sui propri passi, andò a controllare la cassetta. Vuota. Con estrema fatica, neanche fosse un soldatino di piombo, giunse alla porta e lì realizzò di aver lasciato le chiavi in ufficio. Doveva per forza farne una copia, visto che una settimana si ed una no le dimenticava.


Stava ritornando all’ufficio sotto una sottile pioggerellina alquanto noiosa, ma il commissario non se ne avvedeva: un’idea lo assillava e gli confermava che la realtà era più complessa dei telefilm americani, e non esistevano geni alla Sherlock Holmes, lui aveva condotto l’indagine sui presenti, ma probabilmente doveva farlo con un assente, una persona che aveva lavorato nella struttura e si era fatto una copia delle chiavi, eccolo il suo fantasma!
Arrivato in ufficio alzò il telefono e chiamò il medico: “Dottor Pizzi buonasera, perdoni l’ora tarda, del resto mi ha detto di lavorare ed io lo faccio… negli ultimi sei mesi si sono licenziati dei dipendenti da voi? Mi può fornire i dati?”. Pizzi bofonchiò “si domattina glieli faccio avere, si…ma ha visto che ore…dormivo…”

Venuti posò la cornetta, sicuro di avere adesso una pista e recuperate le chiavi si avviò di buon passo verso casa, godendo in anticipo le lusinghe di Morfeo.

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Racconto giallo di Vittorio Nicoli

Seconda puntata

Venuti entrò nella stanza abitata dalla povera signora Rossi ove il medico legale e la scientifica stavano facendo i rilevamenti del caso e sbottò: ”Strangolata! ancora una morte diversa e tutto in disordine come fosse passato un ciclone”.

Il medico legale con modo piccato gli fece notare che era lui a stabilire modo e tempi del decesso, ma dovette dar ragione al commissario.

Questi, con un rapido giro dello sguardo, poté affermare con sicurezza che il disordine era voluto e creato ad arte, chi aveva agito voleva sviarli. Ovviamente nessuna arma del delitto, ma in questo caso sarebbe bastato un foulard o una piccola corda. Diede disposizione di sentire nuovamente il personale del piano, i tre omicidi erano avvenuti a piani differenti per giunta. Lui si riservò il colloquio con il Pizzi nell’ufficio da lui occupato, una specie di sarcofago – così gli era parso la prima volta -.

“Buongiorno commissario, ci rivediamo ancora purtroppo!” il volto del Pizzi tradiva sgomento e fastidio; ovviamente la presenza del Venuti lo irritava.

“Certo che se lei non smette di far morire i degenti qui la baracca chiude,” – fu l’esordio del commissario – “non credo che la direzione sia così felice, ma su con la vita, c’è la fila fuori di parenti che vogliono liberarsi dei pesi e in qualche caso mettere le grinfie sul gruzzolo”.

Pizzi gli lanciò uno sguardo cattivo e rispose “ Sarcasmo fuori luogo, pensi a fare il suo lavoro, sono due mesi dal primo omicidio e non ha trovato nulla…”

Le stesse parole del sostituto procuratore: devono essere d’accordo, forse giocano assieme a scopone, o meglio tresette col morto. Hanno ragione comunque, non sto cavando un ragno dal buco, vediamo se con questo terzo caso si riesce a capire qualcosa in più. Comunque conosco già le risposte del Pizzi. Mi dà la cartella della vittima, ne fa un veloce quanto vuoto riassunto della vita qui in struttura e mi liquida dicendo che ha da fare. Ah, mi mette in contatto con i parenti, ammesso che ci siano.

L’ufficio del Pizzi consta di una scrivania austera quasi spoglia – “neppure un fermacarte mannaggia!” – un casellario per i dossier medici dei degenti, uno per le loro note personali, – “e questo mi è sembrato strano” – un computer un po’ datato, un paio di quadri di anonimi imbrattatele, e la sua laurea incorniciata. Pareti chiare quasi stinte, pavimento scuro, ma questo non è responsabilità sua. Mette il magone, neppure una nota di vita.

Venuti ottenne il dossier ed i contatti dei parenti della Rossi: giusto per non avere qualcosa di strano, vivevano in Australia ed erano due nipoti. Addio legami, questi non vedevano la zia da due anni, forse avevano la fotografia nell’album di famiglia. Si dispose alla solita ricerca sulla vita della malcapitata per trovare assonanze con le altre vittime e per cercare un movente; ogni idea di serial killer, che tanto emozionano i cronisti e gli appassionati dei film americani, era da escludere, in quanto coincideva soltanto l’ora del delitto, la sera. Su quello doveva provare a lavorare, ma se non riusciva a capire il movente, difficile arrivare ad una soluzione.

Il personale presente al momento dei delitti era sempre diverso, trattandosi di piani diversi della struttura e la vita del Pizzi…ma che vita, era uno zombie che oltre al lavoro passava poche ore in biblioteca sempre su testi medici.

Eppure, non poteva che essere un dipendente della casa e doveva avere un nesso con i tre omicidi in qualche stramaledetto modo.

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LA STRUTTURA

Racconto giallo a puntate di Vittorio Nicoli

Inizia da questa settimana un racconto a puntate di genere giallo, scritto dal fraterno amico Vittorio Nicoli, che ci terrà compagnia, con la sua suspense, per tutto il prossimo mese. Buona lettura!

La casa di cura

L’inserviente entrò nella stanza della signora Rossi per accompagnarla come ogni sera nel locale comune dove si svolgeva la cena per gli ospiti della casa di cura; la signora Rossi dimorava lì da circa cinque anni, da quando era mancato suo marito e lei aveva deciso di non pesare sui nipoti ritirandosi in buon ordine in quel luogo che la sua pensione, invero piuttosto magra, e i pochi risparmi faticosamente accumulati le permettevano di pagare.

Insomma, la casa, o se vogliamo nominarla con l’altisonante denominazione scelta dal Comune dove era situata:“ Il rifugio felice dei nonni”, non era una dimora lussuosa ed era la meta finale di persone di ceto modesto, per lo più operai e piccoli impiegati, talvolta però anche persone abbienti vittime dell’ingordigia dei parenti.

Appena varcata la soglia, la donna capì che qualcosa non tornava: la stanza era in disordine come sempre, ma un disordine strano non dettato dalla disattenzione e scarsa memoria della signora Rossi, bensì da una scientifica e meticolosa ricerca da parte di qualcuno che aveva vuotato i cassetti, aperto l’armadio, facendo cadere le grucce con i pochi abiti, vuotato e rivoltato le borsette della povera vittima.

Sì, vittima perché la Rossi era riversa a terra esanime. L’inserviente cacciò un urlo e si precipitò nel corridoio cercando aiuto mentre esclamava “Ancora! Un’altra vittima! Dio mio, Dio mio!”

Accorsero immediatamente altri colleghi e mentre uno cercava di calmare la malcapitata fortemente scossa dalla scoperta, altri due entrarono a loro volta nella piccola stanza per accertarsi del fatto. Arrivò anche il medico della struttura, un uomo alto ed austero, la cui incombente e trista figura subito provocò la ritirata degli altri inservienti, i quali fecero largo in modo che egli potesse constatare il decesso della Rossi, cosa che avvenne in brevissimo tempo.

Il medico, dottor Pizzi, lavorava in quella clinica da ormai dieci anni e come detto la sua figura incuteva rispetto e timore, malgrado nella realtà egli fosse un timido ed introverso. Giunto alle soglie dei quarant’anni non aveva ancora trovato moglie, malgrado parecchie storie naufragate proprio per la sua timidezza ai confini della patologia. Il lavoro era palesemente un ripiego: ben altra carriera aveva immaginato quando era giovane studente universitario, ma anche in questo caso la sua indole lo aveva privato di un degno riconoscimento e lo aveva portato in quel luogo piuttosto triste.

Impartì alcune veloci disposizioni: che nessuno entri, chiamate la polizia, avvisate i parenti, stop. Abituati al suo linguaggio stringato i dipendenti si disposero subito ad eseguire, solo uno – tal Marco – chiese se fosse necessario informare anche la proprietà della struttura. “Certo, certo era sottinteso” bofonchiò il Pizzi.

Circa mezz’ora dopo il commissario Venuti era sul posto. Nuovamente.

“Terzo omicidio in due mesi, per Dio! Ma è una casa per anziani o l’anticamera dell’obitorio?” Si accorse subito di aver detto una bestialità ed un’ovvietà assieme. Era nervoso: troppi morti in poco tempo e senza alcuna spiegazione, la stampa alle calcagna a far caciara e il sostituto procuratore a chiedere almeno una pista.

Venuti appartiene a quelle persone cui riesce facile l’ironia ed il sarcasmo verso tutti, se stessi per primo: i suoi metodi non sono convenzionali ed alle volte provocano reazioni risentite durante gli interrogatori. Aggiungete che non è un uomo avvenente, piuttosto bassino, non atletico, un grosso nasone a sormontare un paio di baffi un poco ispidi, capelli brizzolati spesso spettinati e ribelli ed il gioco presso l’interlocutore di turno è presto fatto. E’ un antipatico! E’ un borioso! E’ un maleducato! Sono le affermazioni che lo accompagnano appena lascia il colloquio con il testimone o il sospettato. Quasi nessuno però nota il suo sguardo vivo ed indagatore, la sua capacità con un colpo d’occhio di valutare le persone e allo stesso modo la scena del delitto.

Cosa lo angustiava dunque in quella serie di omicidi? Per capire lo stato d’animo si deve fare un veloce e macabro riepilogo di quanto avvenuto nei due mesi pregressi. E la mente di Venuti quello stava facendo.

Esattamente due mesi or sono la signora Belli viene rinvenuta cadavere nella casa di cura, proprio come oggi; la donnina era malata da tempo, sola al mondo, nessun parente o amico che venisse a trovarla neppure per sbaglio. Le spaccano la testa con una pesante chiave inglese mai ritrovata e meticolosamente perquisiscono la stanza lasciando tutto in un ordine perfetto.

L’ho capito dagli oggetti spostati che hanno rivelato zone senza polvere sul comodino e nei ripiani dell’armadio, molto attento comunque il nostro assassino. Abbiamo ascoltato gli inservienti a cominciare da quello che aveva rinvenuto il cadavere, poi uno per uno quelli che a quel piano lavoravano quel giorno, infine il nostro bravo dottore, un cretino o poco meglio. Il fatto strano era che nulla mancava o pareva mancare all’appello degli effetti personali della Belli, e che nessuna relazione collegava il personale alla defunta.

Dopo una ventina di giorni la stessa sorte tocca alla signorina Tiretti anche lei uccisa, ma stavolta con un fermacarte o un’arma affilata e sottile con un colpo unico al cuore.

La stanza neppure sfiorata stavolta, l’assassino non si era fermato che pochi secondi, giusto il tempo dell’omicidio. Del resto la Tiretti, malata di demenza, non avrebbe potuto reagire, forse neppure urlare. In questo caso i parenti accorsero alla casa di cura per avere gli effetti personali, e soprattutto sperando di trovare il testamento: la vecchia aveva sostanze ed immobili, ma gli inconsolabili familiari avevano scelto per lei, ormai incapace di difendersi, una struttura a basso costo. Il movente c’era, ma l’ora del delitto – prima di cena – azzerava gli spazi: in quel momento non potevano per regola della struttura essere presenti soggetti esterni.

Si era allora cercato un legame sempre tra il personale, la vittima ed i serpenti – pardon parenti -, ma assolutamente nulla era emerso. Ed ho dovuto nuovamente rapportarmi con quel cretino di medico incapace di essere di alcun aiuto.

Voi direte: un legame fra le vittime? Nemmeno per sogno, mai due persone avevano vissuto storie più disparate e mai nemmeno per sbaglio si erano incontrate prima di convivere, forse senza saperlo, nella stessa casa.

Ancora una volta introvabile l’arma del delitto…

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Cronache Elisabettiane

Dal libro “Nessuno sulla riva” di Elisabetta Giudici

ABITATORI DEL GIARDINO

E’ il tramonto

nel giardino dei ricci,

con le rose appena sbocciate,

inumidite di pioggia…

E’ caldo,

e l’estate

è appena da arrivare

e già si sente,

si sogna,

quei sogni tutti

possibili,

di pensieri leggeri,

diversi,

giocanti,

come perfetti vorremmo

essere,

noi stessi.

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Cronache Elisabettiane

dal libro “Per ogni battito del mio cuore” di Elisabetta Giudici

La mia mano

Nella tua

Attesa, sospesa

Tu che sfiori

Affidi

Questo

attimo

Oscuro

Del niente

E investi

Di luce: eternità

Del senso.

Sensi,

Ed è meglio così:

Insieme.

Sapere

o non sapere.

Sospendere,

Amore sintomo di luce:

E notte di te.

Resto

Esisto, resisto

E non

mi

cambia

Questa

Strana variante universale

E non ritorna,

Tu

Non torni .

Mistero di te,

Scelta, ricerca,

Limpidezza.

Sognavo

Speravo

La perfezione

Luce

Che

domina

Il tempo.

Se non si dice

È deciso :

Potere di una fine

prima di cominciare.

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Cronache Elisabettiane

dal libro “Angeli” di Elisabetta Giudici

ALBERI

Alberi di luna,

alberi di luce viola

diffusa soffusa sfilata,

sospesa, strappata

e di questa città:

è appena l’alba.

Stella di luce

nel giorno

che diventa sera

sempre più buio

e rischia

la notte eterna.

Alberi viola,

tracce di sentieri

dispersi e ritrovati.

Labirinti di gioia

che non è più fine,

di vero

che non è più vita,

di sogno,

luce,

che non è più pace,

notte

che non è più notte.

Alberi di luna,

alberi viola

gioia

che non è più sola…

Resta

eterna

in questo giorno

che non ritorna.

Sera.

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