CRONACHE GROTTESCHE

GLI AMANTI DEGLI ANIMALI

La crescente cura, consapevolezza e difesa dei diritti degli animali è sicuramente encomiabile, e soprattutto nei paesi più ricchi è ormai normale per molte famiglie avere un animale domestico – prevalentemente cani e gatti – che gli faccia compagnia e sul quale riversare parte del proprio affetto: spesso l’adozione dello stesso è anche educativa nei confronti dei bambini, che imparano gradualmente a prendersi cura di qualcuno a cui voler bene in modo responsabile.

Inoltre, come sappiamo, i nostri piccoli amici a quattro zampe sono sempre disinteressati e donano il loro affetto incondizionatamente, senza trucchi e senza mai deluderci, a differenza di molti umani; la relazione con loro è più semplice, non ci contestano e non ci lasciano, guadagnarci il loro amore è molto più semplice; ma in fondo, va detto che la complessità è una caratteristica dell’animo umano.

Se pensiamo, infine, che esistono sempre più nuclei familiari composti da una sola persona, spesso anche piuttosto anziana, capiamo come l’avvento degli animali da compagnia, nella società del benessere, abbia potuto avere una rapida espansione.

Sulla cura dei cosiddetti “pets” è fiorito anche un commercio importante, con cibi specifici, farmaci, e negozi specializzati nel loro benessere; a volte però tale aspetto ha raggiunto fenomeni parossistici, come nei casi sotto descritti.

Il primo esempio macroscopico di una stridente differenza di trattamento tra uomini e cosiddetti “amici degli uomini” si è riscontrato con la recente immigrazione, che ha interessato vaste zone del nostro paese, a causa della serie di guerre scoppiate in nord Africa, per sfuggire a condizioni di vita diventate inumane: sono stati però pochissimi a fornire aiuti a questo nuovo esercito di disperati, spesso lasciati a morire di fame e di freddo a centinaia durante lo scorso inverno, con la presenza anche di donne e bambini, malgrado gli appelli lanciati da molte associazioni di volontariato.  A tal proposito, molto forti sono state le immagini dei giardini pubblici di tante grandi città divisi in due, a sancire una divisione quasi biblica, come se vi fossero castigati ed eletti: da una parte gli immigrati sdraiati per terra, all’addiaccio, dentro scatoloni e giacigli di fortuna, senza alcuna assistenza né da parte dei privati, né dalle strutture pubbliche, mentre sull’altro lato i padroni di cani che, vestiti elegantemente, portavano le loro bestiole con toelettatura all’ultima moda a fare la passeggiata quotidiana, completamente disinteressati al destino di altri esseri umani, la cui unica colpa era di essere nati più a sud.

Ancora più eclatante è stata la recente nascita del partito europeo di estrema destra “Brigata combattente per i quadrupedi”, che ha nel programma alcune idee tra loro apparentemente contraddittorie: da un lato la difesa strenua degli animali domestici e la presentazione di disegni di legge sempre più tutelanti nei loro confronti, come ad esempio consistenti contributi statali e sgravi fiscali per chi li adotta; sin qui assolutamente nulla di male, ma al contempo negli ideali dichiarati da tale formazione politica sono propugnati in modo estremo il respingimento con ogni mezzo, anche violento, degli immigrati irregolari, e la negazione della cittadinanza agli extracomunitari e ai loro figli, con implicazioni razziste e di odio sciovinista nei confronti di chi non appartiene alla nostra etnia: il diverso atteggiamento nei confronti di umani e non umani appare effettivamente eccessivo.

In questo alveo, apparentemente insensato, si colloca la nuova legge, approvata dal Parlamento in via definitiva, con l’obiettivo di promuovere in modo netto, a livello giuridico e fiscale, la creazione di trust a favore degli animali domestici conviventi, che dovessero sopravvivere al loro padrone, con un amministratore appositamente nominato per la gestione dell’eredità con possibilità di eludere anche le quote di legittima verso i parenti stretti, e infine con la possibilità di lasciare agli animaletti da compagnia anche una quota della pensione di reversibilità.

Insomma, in parecchi casi gli animali trattati molto meglio delle persone…

Che strani tempi stiamo vivendo!

(articolo pubblicato su Famiglia Cristiana, dicembre 2028)

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CRONACHE GROTTESCHE

L’AUTOMA AUTONOMO                                                         

E’ incredibile l’evoluzione che ha assunto l’innovazione tecnologica sempre più specialistica e sofisticata, in ogni ambito e settore della civiltà umana, portata ad un punto di efficienza tale da assomigliare a quello di un nuovo Creatore.

Si può dire che la scienza abbia ormai sostituito le varie Divinità religiose, in modo da sovvertire molte leggi fisiche sinora conosciute, permettendo agli uomini un salto eccezionale verso traguardi sempre più fulgidi e sfidanti.

Un esempio emblematico in tal senso è la figura del cosiddetto “automa autonomo”, mutuato dalla terminologia industriale del nuovo millennio, e cioè la figura dell’impiegato e dell’operaio utilizzati spesso in lavori ripetitivi, che si comportano come automi nell’ambito della lavorazione che debbono compiere, e interagiscono in totale solitudine soltanto con macchine sempre più intelligenti, avendo il compito di sorvegliare che non vi siano anomalie, ed eventualmente di risolverle con interventi di manutenzione, mentre il grosso del lavoro, una volta affidato agli esseri umani, è appunto demandato ai robot.                                                

Questo ha ovviamente permesso un’ottimizzazione notevole nell’efficienza di esecuzione delle mansioni, oltre a grossi risparmi in termini di costo del personale: dove prima vi erano centinaia di persone, ormai è presente soltanto un piccolo presidio umano.

Tale figura si riscontra sempre più diffusamente in tutti i settori della nostra collettività, tanto da aver creato nuovi paradigmi nell’implementazione di tanti prodotti, servizi, e addirittura stili di vita moderni: dalle fabbriche alle banche, dagli uffici pubblici agli ospedali, sempre più questo modello sta stravolgendo e migliorando in modo sensibile gli stili organizzativi adottati per anni, ormai considerati obsoleti, e finalmente superati.

L’innovazione forse più sorprendente ma anche significativa, in tal senso, è rappresentata dalla enorme possibilità data agli utenti e ai clienti di molte catene produttive di servirsi da soli, in totale autonomia, sfruttando la tecnologia ed i sistemi di apprendimento degli automi, risparmiando tempo e denaro, oltre a permettere il risparmio dei costi del lavoro umano alle aziende erogatrici di servizi, e divenendo così, con piena soddisfazione di tutti, anch’essi degli “automi autonomi”. 

Tale modello, già da anni utilizzato in molte società, come supermercati o catene di ristoranti, è ora arrivato anche al comparto della medicina, con l’opportunità innovativa data ai pazienti di avere in tempo reale diagnosi e cure dalle macchine, con la successiva auto-cura gestita direttamente dall’ammalato; infine, ultima in ordine di tempo, addirittura l’auto-operazione, dove lo stesso malato può effettuare su di sé piccoli interventi di routine, sotto lo sguardo vigile e seguendo le indicazioni puntuali di robot, che lo coadiuvano durante tutta la durata dell’intervento; il tutto con grandi economie di scala, in questo caso anche a beneficio dei sistemi sanitari nazionali.                                                                      

Ovviamente questo succede quando l’operazione non comporta particolari pericoli e non è necessaria la sedazione totale; diversamente ad intervenire è una equipe di robot, programmati a tal fine sempre dallo stesso paziente con l’aiuto di tutorial sempre più semplici da utilizzare. Nel malaugurato caso che l’operazione non abbia successo, è sempre possibile per il paziente anche programmare anticipatamente il proprio funerale nei dettagli, grazie ad un collegamento diretto della clinica con imprese di pompe funebri, anch’esse gestite esclusivamente da macchine intelligenti.

In tale ambito è estremamente interessante anche il nuovo fenomeno, recentemente studiato, della cosiddetta “umanizzazione” e trasposizione di affetto da parte dell’ammalato nei confronti della macchina che lo sta curando, la quale spesso finisce per sostituire l’empatia per gli altri esseri umani, soprattutto nei casi di persone anziane e rimaste sole: potrà apparire triste ad alcuni, ma è sicuramente molto attuale, e a nostro avviso consolante! 

(articolo apparso sulla nota rivista scientifica “Science” nel dicembre 2029) 

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CRONACHE GROTTESCHE

L’IDENTITA’ DI SPECIE

Una importante notizia ci giunge oggi dalla Commissione Pari Opportunità del Parlamento Europeo, chiamata a deliberare su delicati aspetti della vita nei paesi dell’Unione, in tema di uguaglianza e dignità di tutte le persone, indipendentemente dal gruppo sociale a cui esse appartengono.

Finalmente, dopo anni di dibattiti, proteste e polemiche, alcune anche violente, e dopo un confronto serrato tra le parti politiche andato avanti per ben due anni, è stata promulgata la nuova legge che riconosce l’identità di specie, regolamentandone inoltre l’attuazione nella quotidianità e nel mondo del lavoro.

Sostanzialmente, dopo la normativa che sanciva il completo riconoscimento e la difesa dell’identità di genere, con una serie di tutele per favorire a tutti i livelli l’affermazione dei diritti LGBTQIA+, è stato licenziato un decreto che estende tali garanzie ai cosiddetti “therians”, e cioè agli individui che si considerano animali intrappolati in corpi umani, comportandosi di conseguenza, travestendosi come l’animale che ritengono di essere e adottando uno stile di vita simile ad esso.

Per anni chi si vestiva e comportava come un animale (l’esempio più frequente erano persone che si identificavano in cani, addobbate con tute comprensive di coda, che camminavano a quattro zampe, abbaiando invece di parlare, mangiando per terra da ciotole, ecc.) era considerato qualcuno con problemi personali, se non mentali, che aveva la necessità disperata di affermare la propria individualità in un mondo dove si è sempre più anonimi, e quindi veniva automaticamente escluso dalla vita produttiva, deriso e discriminato.

Invece, fortunatamente i nostri rappresentanti in Europa hanno adesso sancito che si tratta di persone particolarmente sensibili, meritevoli di tutela e rappresentatività, emanando questa legge: pertanto, già come successo con l’identità di genere, anche per l’identità di specie dovranno cessare tutti gli aspetti discriminatori nei confronti di chi non appartiene alla maggioranza che ancora si identifica come umana; vi saranno corsi di orientamento nelle scuole per trovare in modo sereno e indipendente una propria collocazione di specie; nei documenti di identità non dovrà più essere dichiarato il sesso, e si potrà invece indicare la specie animale alternativa alla quale si appartiene; infine, sui luoghi di lavoro, saranno obbligatorie le assunzioni e gli avanzamenti di carriera per quote di persone che dichiarano di non appartenere al genere umano.

Il Parlamento ha in questo senso – a nostro avviso in modo veramente meritorio – deciso di dare il buon esempio, eleggendo a capo della Commissione Pari Opportunità una parlamentare francese, nata donna, ma recentemente auto-dichiaratasi prima non binaria, e poi anche appartenente alla specie delle libellule, la quale con grande coerenza ha deciso di andare a vivere presso uno stagno, ed ha inoltre partecipato alle ultime riunioni politiche con un costume che riproduceva le fattezze dell’insetto, comprensivo di ali trasparenti e membranose, interagendo con i colleghi soltanto tramite il ronzio caratteristico della libellula.

A nostro modesto avviso si tratta veramente di un grande passo per l’attuale società.

Il riconoscimento di libertà complete a tali livelli è decisivo, ed esprime compiutamente il grado di democrazia che il nostro continente è riuscito a raggiungere, esplicativo di una società che integra chiunque senza lasciare indietro veramente nessuno, a qualunque specie appartenga, per cui ci sentiamo onorati di poter dare in anteprima questa notizia eccezionale al mondo.

(Comunicato dell’Ufficio Stampa del Parlamento Europeo, settembre 2026)

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CRONACHE GROTTESCHE

I VELOCIPEDI

La nostra è la società dell’istante, della velocità, tutto è volatile e in rapida trasformazione: discorsi, emozioni, messaggi, occupazioni, pensieri; persino le relazioni affettive, che infatti durano sempre meno e tendono ad essere sempre meno solide.

Siamo continuamente in movimento e di fretta, per i mille impegni che prendiamo, andiamo sempre avanti e indietro alla ricerca di qualcosa, senza sapere però esattamente che cosa.  Corriamo quotidianamente, con l’affanno alla gola e l’ansia costante, per portare a termine tutti i compiti che ci siamo dati, fare bella figura sul lavoro, in famiglia, nella vita privata come in quella pubblica.

Certo, il nostro stile di vita è ormai profondamente cambiato rispetto ai ritmi di vita della civiltà contadina, dove il passare del tempo era scandito dalle ore di luce della giornata, il tutto ormai accelerato dall’avvento della tecnologia e della società consumistica, che rendono più agevoli molti lavori, ma spesso non ci permettono di godere della quiete, tipica del contatto con la natura, ormai una chimera nella rutilante esistenza cittadina.

Eppure, ci manca qualcosa che ci renda felici, tutta questa ossessione per la rapidità non ci basta, rende solo più schizofreniche le nostre giornate, ma noi continuiamo spesso a sentirci inadeguati.

Un fenomeno recentemente studiato a tal proposito, che rende in modo plastico l’isteria di questo periodo storico, è quello della velocità dei pedoni nei tratti urbani: si è riscontrato, tramite statistiche aggiornate, che, soprattutto nelle città, la velocità di spostamento delle  persone a piedi è notevolmente aumentata negli ultimi decenni, e ormai si attesta a valori nettamente superiori alla media storica del passo della popolazione umana, stimata intorno ai 5 km l’ora, con alcuni casi di punte superiori ai 10 km orari.

Abbinato a questo, un altro fenomeno inquietante: sempre maggiori sono gli incidenti tra passanti che si scontrano camminando, e addirittura si è notato un incremento consistente degli attacchi cardiaci che avvengono per strada, a causa dello sforzo eccessivo della camminata; tale impressionante fenomeno ha una accelerazione soprattutto nei giorni lavorativi e al mattino, evidentemente durante il tragitto verso il luogo di lavoro o gli edifici scolastici.

Si è così raggiunto il paradosso di una diminuzione nei centri urbani della velocità automobilistica, ridotta recentemente, grazie ai nuovi limiti presenti in particolari zone, sino ai 10 km orari imposti per legge (spesso addirittura complicata da mantenere, con auto sempre più potenti), mentre quella dei pedoni tende ora in alcuni casi a superarli.

Pertanto, alcuni comuni sono stati costretti ad introdurre norme per regolamentare anche il traffico pedonale, con l’istituzione di zone a velocità massima per pedoni di 8 km all’ora, e persino di alcuni cartelli di segnaletica riservati a chi viaggia a piedi, in modo che questi ultimi non possano superare i mezzi motorizzati e rischiare scontri tra pedoni e tra pedoni e auto…

Sono infine stati istituiti controlli in merito, effettuati elettronicamente da speciali apparecchiature dislocate lungo le strade, chiamate pedisvelox, con la possibilità, in caso di violazione, di contestazione differita inviata al domicilio del pedone, identificato tramite un sistema di riconoscimento facciale.

Tutto ciò non è forse un segno distintivo di questi nostri tempi, tanto frenetici?

(articolo apparso su una nota rivista automobilistica degli anni ’20)

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L’ELOGIO DELLA SOLITUDINE

La solitudine, come valore e obiettivo a cui tendere, sta diventando uno dei nuovi miti della nostra civiltà.                                                                 

La possibilità di impiegare il proprio tempo nella parziale o totale assenza di altre persone, e quindi senza distrazioni, senza sottostare a compromessi, e senza dover tollerare diverse abitudini e stili di vita rispetto ai nostri, è sempre più apprezzata e ricercata. 

Questo fenomeno si innesta nella società attuale, caratterizzata da ritmi sempre più stressanti e incalzanti, dove la ricerca di quiete e silenzio appare spesso una chimera, con la necessità a volte di effettuare una introspezione psicologica in noi stessi, e nelle nostre nevrosi; ma probabilmente i fattori che lo determinano rientrano anche nel cambio di struttura sociale e del tipo di vita che si conduce nelle città, dove i rapporti umani sono più fugaci e difficili da mantenere rispetto alla tradizionale società contadina.

Spesso, alla rarefazione dei rapporti si abbina anche la loro superficialità, a causa della mancanza di tempo, ma anche per la disgregazione della famiglia tradizionale, sostituita da forme di convivenza temporanee e succedanee, volte ad un’ottica di più breve respiro, con inoltre sempre più nuclei familiari composti da una sola persona.

Sicuramente però, in tutto ciò ha giocato un ruolo di primo piano l’avvento della società dei consumi, basata appunto sulla produzione e sul consumo di beni, con la necessità di creare sempre nuovi bisogni da appagare, e quindi anche la necessità di guadagnare sempre di più, per soddisfare maggiori necessità di consumo.

La desertificazione dei sentimenti ha creato più ansia e insicurezza, soprattutto nelle giovani generazioni: le classi dirigenti, i responsabili delle grosse aziende, e i maghi della pubblicità sanno bene che i vuoti lasciati dalla mancanza di rapporti e relazioni vanno colmati in qualche modo, essendo l’uomo sostanzialmente un animale sociale, per cui hanno mano libera nel proporre nuovi prodotti, e indurre falsi bisogni nelle menti dei consumatori, sempre più ridotti da persone a cose, con l’unica funzione di far girare un’economia drogata, riempita di articoli inutili e a volte nocivi (vedasi ad esempio gli abnormi consumi alimentari dei paesi più sviluppati).

Ovviamente, il tutto è ora amplificato dai media, strumenti potentissimi che convogliano i comportamenti verso determinate scelte, rendendo i loro fruitori ancora meno liberi e sempre più solitari, esaltandone l’individualismo. 

E, a tal proposito, è di recente attuazione l’inserimento nella Costituzione dell’Unione Europea – fortemente voluto e approvato all’unanimità da tutti gli schieramenti politici – del cosiddetto “diritto alla solitudine”, che esalta la condizione di solitudine come strumento indispensabile di dialogo con sé stessi, e la proclama diritto inalienabile dell’essere umano.                                               

Ma tutto ormai pare orientare lo stile di vita verso forme di alienazione dalla vita comunitaria: i grandi centri urbani sempre più anonimi rispetto ai centri storici precedenti, la mancanza di veri spazi di aggregazione, i palazzoni dove si abita senza sapere se dall’altra parte del corridoio il vicino di casa sia ancora vivo, i computer e cellulari che permettono di isolarsi dalla realtà circostante;  addirittura i mezzi pubblici sono fatti per mantenere le distanze: ad esempio nei treni, con i sedili distanziati che hanno sostituito gli scompartimenti, i quali creavano vicinanza e permettevano la socialità tra i viaggiatori; le epidemie di Covid, vissute in modo traumatico da molti, che hanno acuito tale ricerca di distanza per ragioni di sicurezza; infine, anche a seguito delle stesse epidemie, la nuova organizzazione del lavoro basata sullo “smart working”, il lavoro da casa fatto in totale solitudine, che ha ulteriormente accentuato l’isolamento individuale.

In questo alveo di asocialità si innesta l’impossibilità di comunicare e di creare empatia dell’uomo moderno, che si trova da solo con i suoi problemi e nessuno con cui condividerli, per cui sono fioriti recentemente molti social network, i quali permettono di esprimere i propri stati d’animo e le proprie idee, però purtroppo senza approfondimento e senza dibattito, ma solo con la volontà di affermare in qualche modo la propria identità, spesso urlata, e a volte anche con l’insulto gratuito a chi non avvertiamo come simile a noi.

Il paradosso attuale è questo: viviamo in un’era in cui la comunicazione è estremamente sviluppata, e abbiamo la possibilità di interagire con chiunque dall’altra parte del pianeta, ma si tratta di un colloquio superficiale, spesso senza dialogo, fine a sé stesso, dove prevalgono le comunicazioni mediate dalla tecnologia.  Del resto, le relazioni umane autentiche sono complesse, comportano lo sforzo di comprendere l’altro, sacrificio e mediazione, spesso ci impauriscono con la loro difficoltà, mentre quelle digitali semplificano in modo elementare le cose, permettendo di evitare un vero confronto, che sarebbe invece alla base della crescita personale.

Gli esempi negativi in questo senso si sprecano: si va dall’aumento degli incidenti automobilistici, ma anche con mezzi pubblici, per distrazioni dei conducenti legate all’uso sempre più compulsivo di cellulari e tablet, spesso diventati dei veri e propri prolungamenti del corpo umano; ai fenomeni di depressione, studiati sulle persone che non ricevono abbastanza visualizzazioni e consensi alle loro pubblicazioni social; alla totale estraniazione dalla realtà di molti ragazzi che si creano identità digitali, con nomi e immagini finti sul web, grazie ai quali affermano una realtà virtuale diversa e a loro più congeniale, ma poi trasportano tale finzione anche nella quotidianità, finendo per vivere ai margini della  società e divenire dei disadattati; al fiorire di relazioni amorose su internet, dove ci si frequenta solo virtualmente, senza approfondire il rapporto e senza nemmeno vedersi nella vita reale di persona, spesso arrivando persino al sesso voyeuristico, consumato a distanza, sempre comunque rigorosamente da soli, ognuno all’interno della propria stanzetta, in rassicurante solitudine; per arrivare addirittura ai suicidi di persone che avevano smarrito il cellulare, considerato come l’unico vero amico, ancorché non umano,  che racchiude tutto l’universo dei propri pensieri, ricordi e passioni, e senza il quale la vita perde quindi di significato.

Insomma, quel fenomeno aberrante, che uno psicologo anni fa aveva preconizzato, definendolo “la morte del prossimo”, sta inesorabilmente prendendo piede, e appare sempre più difficile un ritorno alla riscoperta di genuini rapporti umani, basati sul confronto e la socializzazione.

(ESTRATTO DA UN SAGGIO PUBBLICATO NELL’AGOSTO 2024)

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