CRONACHE GROTTESCHE

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LA WOKE CULTURE

La cosiddetta cultura “woke” sta permeando e influenzando i comportamenti del nostro tempo, in maniera sempre più pervasiva e a volte contraddittoria: tale termine – entrato nel lessico comune come simbolo di correttezza e di attenzione alle ingiustizie sociali – sta assumendo in certi casi una connotazione negativa, a causa degli eccessi provocati.

Nato nei paesi anglosassoni dal termine “awake”, risveglio, per sintetizzare soprattutto le lotte degli afroamericani per i diritti civili e politici, si è esteso a tutto il mondo occidentale, significando la ricerca delle nuove sensibilità sull’uguaglianza di genere, le battaglie per la non discriminazione di persone lesbiche e gay, il revisionismo storico nei confronti degli invasori europei (rei di aver cancellato le culture di molti popoli nativi), la tutela di tutte le minoranze, ecc.

Negli ultimi tempi però la parola woke è simbolicamente legata agli eccessi del politically correct, che sempre di più sta assumendo le forme di una nuova dittatura: nato per eliminare ingiustizie e forme di discriminazione, si è gradualmente trasformato in una battaglia ideologica, a volte persino grottesca, contro tutto ciò che può confliggere contro i diritti di ogni minoranza, finendo per assurdo per creare nuove discriminazioni ed esclusioni dalla vita politica, culturale e sociale, nei confronti di chi non rispetta tale dittatura della forma.

Si è partiti dall’abbattimento delle statue di Cristoforo Colombo negli Usa, in quanto simbolo del razzismo e del colonialismo, tipico caso di “cancel culture”, passando al cambio di genere della maggior parte delle parole del vocabolario, per trasformarle dal maschile – avvertito come oppressivo e simbolo di cultura patriarcale – al genere neutro, sino ad arrivare ad alcuni eccessi addirittura ridicoli.

E così, nelle scuole è stato vietato l’insegnamento di molti classici, dai greci ai latini, da Dostoevskij a Proust, in quanto nelle opere – spesso capolavori assoluti dell’umanità – sono presenti violenze, stupri, discriminazioni di genere e di censo, e termini non politicamente corretti.

In tutti i Parlamenti occidentali, e in molte imprese multinazionali, si sono introdotte quote obbligatorie, rappresentative dei 99 generi sessuali attualmente riconosciuti, con tutto ciò che questo può comportare in termini di meritocrazia.

Tutti i film, telefilm, spettacoli teatrali, e in genere opere di finzione, sono al momento sottoposti ad una rigida censura, che ne valuta il frasario per renderlo omologato alla cultura woke, e in molti casi ne modifica persino la trama, non ritenuta ad essa consona, col risultato di trasformarla spesso in un guazzabuglio incomprensibile.

In alcuni paesi dell’Unione Europea, nel continente storicamente simbolo della libertà e democrazia, sono state introdotte leggi ferree per la tutela dei comportamenti ritenuti eticamente corretti, come l’arresto per le coppie etero sorprese a baciarsi all’aperto, in quanto apportatrici di comportamenti discriminatori nei confronti degli altri generi sessuali.

Infine, persino le maggiori religioni hanno dovuto adeguarsi a tale dittatura della correttezza formale, estendendo il ministero religioso a tutti senza distinzioni, e modificando addirittura alcuni dogmi ritenuti discriminatori, poiché basati su idee retrive e patriarcali.

Insomma, una cultura della forma a tutti i costi, che diventa sostanza, ma peggiorando la realtà: nata per eliminare le differenze tra gli uomini, finisce invece per acuirle, per reazione, e per incapacità di trovare una mediazione tra la tutela delle minoranze e il buon senso.

Questo stesso articolo probabilmente verrà censurato, e non potrà mai essere pubblicato, alla faccia del diritto alla libertà di espressione.

(articolo scritto da un noto giornalista,  per il Washington Post,  nel  gennaio 2025,  ma mai pubblicato,  in quanto bloccato dalla implacabile censura degli Stati Uniti d’America, all’epoca considerati lo stato maggiormente garante dei diritti civili e di espressione)

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L’ APPARENZA

Ormai è tutta apparenza, la forma ha preso nettamente il sopravvento sulla sostanza: in un mondo governato dai media e dai social media, è molto più importante apparire che essere; inoltre, anche la legislazione ha recepito molti modi di pensare e comportamenti che finiscono per amplificare tale fenomeno, forse nel tentativo di adattarsi alla realtà e restare al passo con i tempi.

E’ divertente pensare a quante cose si facciano per abitudine e convenzione, più che per eccessiva necessità.

A tutti noi capita sempre più spesso, nella vita privata come sul lavoro, di porre in essere una serie di comportamenti che non incidono realmente sulla qualità e quantità del risultato o del prodotto finito, ma semplicemente sono obbligatorie, in quanto destinate ad avvalorarci e farci percepire in un certo modo dagli altri: ormai, più che fare le cose, bisogna far vedere che le si fa… Non si tratta solo di eccesso di burocrazia, la quale è sempre esistita: ora tale fenomeno è accentuato probabilmente dal vuoto totale di contenuti in molti aspetti del nostro vivere, che vengono riempiti di banale, superfluo e inutile.

A tal proposito un esempio, che definirei eclatante, mi è stato narrato da un amico, dirigente presso una importante multinazionale: nel suo staff è presente una ragazza laureata col massimo dei voti presso una prestigiosa università, assunta circa cinque anni fa per sviluppare delicati progetti ingegneristici, ma selezionata anche grazie alla sua appartenenza ad un gruppo di pensiero protetto, per il quale la normativa attuale prevede delle quote minime di partecipazione in ogni azienda di grandi dimensioni.               

Trattandosi però, nel caso dell’impresa in questione, di progetti contrari al modo di pensare “purple”(*) della giovane, questa si è sempre rifiutata di svilupparli, e quindi praticamente passa il tempo leggendo i giornali o navigando su internet, mentre il team degli altri impiegati lavora nel medesimo ufficio.                                                                                          

Dal canto suo, l’azienda non la può licenziare e nemmeno sospendere, in quanto violerebbe la legge sul pensiero purple recentemente approvata, esponendosi per di più a gravi ricadute in termini reputazionali e di immagine, – visto il dilagare imperante di tale ideologia –  per cui questa situazione assurda si protrae da anni senza soluzione; la dipendente continua a percepire lo stipendio senza fare nulla, mentre gli altri sgobbano anche per lei, e la multinazionale si rifiuta di assumere altro personale, in quanto incorrerebbe nello stesso rischio di avere stipendiati che non fanno nulla.

La cosa però più scandalosa è che tale azienda allo stesso tempo tartassa ed effettua pressioni enormi sui colleghi che lavorano, perché completino i progetti nei tempi previsti, con budget terribilmente competitivi, assegnando loro sempre più oneri, dovendo inoltre essi sopperire all’assenza di utilità della ragazza.

Qualcuno ha recentemente pensato di dichiararsi “purple” a sua volta, per poter beneficiare anch’egli di tale status, ma non ha superato il durissimo e probante test di verifica delle caratteristiche e credenze purple, alla presenza di psicologi e medici del lavoro, per cui è dovuto tornare a lavorare alacremente, senza discutere, sotto lo sguardo indifferente dell’ultima arrivata, che si limita a incassare lo stipendio.

Tutto il mondo del lavoro e la stessa organizzazione sociale stanno attualmente avvalorando tali comportamenti, che però purtroppo comportano enormi rischi e ricadute in termini di efficienza e creazione di benessere collettivo nei paesi occidentali.

Insomma, il trionfo del nulla sulla vita concreta e sulle sue complessità, che si sta ergendo a nuovo mito di una generazione, con l’avallo delle istituzioni e dei mezzi di comunicazione, tutti orientati in modo spasmodico nel seguire le mode, probabilmente anche nell’intenzione di distogliere l’attenzione dei cittadini dai veri problemi.

(A. COTTIMO, ex dirigente di azienda, attualmente in quiescenza con minimo pensionistico, dopo 55 anni di contributi)

(*) Purple: filosofia di vita che condanna il lavoro come mezzo di produzione di beni e servizi e di coercizione delle persone, teorizzando un reddito universale per tutti, indipendentemente dalla loro partecipazione alla vita lavorativa. Tale filosofia non approfondisce però chi e come dovrebbe assicurare il mantenimento del livello di benessere della società.

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LA KAKISTOCRAZIA (II parte)

Molti sono stati gli studi di importanti esperti politologi, sociologi e psicologi in merito, che hanno sostanzialmente identificato tre cause principali di tale situazione.                                                                                                           

In primo luogo, viene attribuita gran parte della responsabilità alle generazioni di governanti precedenti, i quali non hanno preparato apparati dirigenziali alla loro altezza, spesso contornandosi di personalità mediocri, e depauperando progressivamente scuola ed università, al fine soprattutto di non avere persone preparate e dotate di spirito critico, in grado quindi di contestarne l’operato.

Ovviamente tali classi di funzionari e dirigenti, una volta salite al potere nella loro organizzazione o azienda, hanno favorito l’ascesa di altre persone di loro fiducia, ancora più impreparate e insignificanti, in modo da poterle controllare e non rischiare di essere oscurate da loro, in una lenta spirale negativa; il classico slogan, in questi casi utilizzato sino allo sfinimento, è: “Voglio che lavori per me soltanto gente fedele, non competente!”

Un’altra causa è sicuramente legata all’esplosione tecnologica, purtroppo mal gestita, la quale ha permesso di automatizzare molti processi, e di rendere semplici operazioni e lavorazioni, una volta demandati all’estro e alla creatività del singolo operaio o impiegato; questo ha prodotto nel cervello umano una deresponsabilizzazione, con il risultato che siamo portati a non approfondire più i temi, ma ad accontentarci di testare solo la superficie delle cose.  Così come nell’informazione ci fermiamo alla sintesi della notizia senza verificarla, rendendoci quindi più simili ad un gregge belante e manipolabile, che a cittadini critici e consapevoli delle problematiche del mondo nel quale viviamo.

Infine, gli studi sul problema attribuiscono una grande responsabilità anche al crollo di molti valori e credenze politiche che hanno permeato le società occidentali sino al termine del secolo scorso, il cosiddetto “secolo breve”: infatti con il crollo del muro di Berlino, per definizione si riscontra la fine di un’era basata su determinati equilibri, sullo scontro tra blocchi supportato dalle relative ideologie, le principali delle quali, liberismo e comunismo, ancorché in contrapposizione tra loro, davano comunque un senso ad un certo tipo di organizzazione sociale.

Il tutto acuito anche dalla crisi di molte religioni, che per anni hanno fornito – comunque la si pensi – una giustificazione a valori come l’impegno e la serietà, cercando di imporre regole morali essenziali per il corretto funzionamento della società.

Tutto ciò ha approfondito il vuoto esistenziale degli uomini, diventati ormai solo consumatori di beni, e aventi come unico fine il guadagno a tutti i costi, in un circolo vizioso e parossistico, dove domina la ricerca del soddisfacimento del bisogno immediato, e quindi l’ottica di breve termine, senza la necessità di programmare e impegnarsi in piani di più ampio respiro, con una visione di conseguenza non certo lungimirante.

Oggi siamo quindi arrivati al paradosso della kakistocrazia, dove le competenze sono bandite, trionfano i peggiori a tutti i livelli, e la meritocrazia è costantemente e sistematicamente calpestata.

Ma come si può uscire da questa spirale di degrado? Probabilmente con una grave crisi, che faccia pulizia a tutti i livelli, e favorisca poi il riemergere dei valori reali di persone e cose.

(M. LA CAUSA, ex magistrato, attualmente detenuto ai lavori forzati in un penitenziario di massima sicurezza)

“CRONACHE GROTTESCHE”

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Questo racconto è dedicato alla carissima amica e sodale Lara Pellerino, insigne consulente finanziaria, valente presentatrice di eventi, oltre che grande sostenitrice delle mie opere: Lara, nel giorno del tuo genetliaco, ti giungano i miei più cari auguri di buon compleanno e di una vita lunga e felice, insieme alla tua famiglia!

LA KAKISTOCRAZIA (I parte)

                                                                        

Sempre maggiore è il disagio avvertito nella nostra società per la mancanza di una valida classe dirigente, in grado di affrontare le enormi sfide contemporanee, e tale problematica si manifesta in questo momento storico a tutti i livelli.       

Nel particolare, così come nel generale, ravvisiamo ormai un vuoto di potere e una incapacità di affrontare la complessità del reale, che pare un vizio e una dannazione dei nostri tempi.

Purtroppo, è ormai evidente a tutti che a dirigere nazioni e imprese multinazionali, scendendo sino agli amministratori locali, vi sia, tranne esigue eccezioni, una pletora di persone impreparate, senza la necessaria esperienza e spesso neanche dotate di specchiata moralità, tanto che alcuni sociologi hanno coniato per la nomenclatura di alcuni stati il termine “kakistocrazia”, mutuato dal greco, ovvero “il governo dei peggiori”.  

Sempre più frequenti sono i casi di governanti eletti a comandare paesi importanti senza avere nessuna esperienza né cultura in alcun campo dello scibile umano, ma semplicemente per mancanza di alternative o perché più abili nel catturare l’attenzione e l’empatia del popolo. Ma anche di manager di importanti aziende, spesso protagonisti di incomprensibili carriere fulminanti, ma totalmente impreparati a gestire sia le sfide del mercato globale che team di collaboratori, ai quali appaiono come dei disadattati, aventi come unico obiettivo quello di conseguire un utile aziendale a breve termine. E lo stesso discorso si può estendere a tutti i gangli essenziali della vita pubblica, dove si trovano giudici che emettono sentenze assurde se confrontate col buon senso, insegnanti totalmente incapaci di insegnare le loro materie, o medici che improvvisano nel formulare le loro diagnosi, affidandosi spesso solo alla tecnologia, senza nemmeno visitare i propri pazienti.    

Gli avvenimenti del genere ormai si sprecano, e vanno ad interessare tutti gli aspetti della nostra società.

Negli Stati Uniti, il paese più potente, ricco ed influente del mondo, il prosieguo del mandato Trump, malgrado l’arresto che lo ha riguardato solo sei mesi dopo il verdetto elettorale, per i ben noti motivi, riguardanti i suoi problemi fiscali e finanziari, dimostra il totale scollamento tra i vari poteri: un presidente, costretto a dirigere la prima tecnocrazia e potenza internazionale dal carcere, collegato da remoto con il suo gabinetto di ministri, non si era mai visto prima, ed era impensabile anche nei più cupi e pessimistici romanzi distopici sino ad ora prodotti!                                                                                                               

Il tutto consentito da una legge che lo stesso presidente, in evidente conflitto di interessi, era riuscito a far frettolosamente approvare, con la connivenza dei due rami del parlamento, e che travalica le norme federali, oltre che quelle della decenza; legge che permette al presidente USA di portare a termine il suo mandato anche in caso di impeachment e condanne per reati comuni, escludendo quindi solo crimini gravissimi, come ad esempio l’alto tradimento.

Eppure, il sistema mediatico e gli stessi abitanti statunitensi si sono alla fine abituati anche allo strano e inquietante spettacolo di un presidente che governa il paese, e indirettamente influenza anche il resto del mondo, mentre è detenuto in una cella, con sentenza passata in giudicato!

Un altro caso apparentemente incredibile, che ha recentemente fatto molto scalpore, è stata l’inchiesta portata avanti da una rete televisiva francese sulla selezione per i manager di una importante azienda di telecomunicazioni transalpina, dove, tra i parametri richiesti nella normativa interna riservata – poi resa pubblica dal servizio tv – erano evidenziati come preferibili il comportamento asociale, e la totale assenza di remore morali nell’adempiere al proprio compito. Si tratta della stessa azienda in cui i suicidi tra i dipendenti hanno avuto un incremento impressionante nell’ultimo decennio.

E che dire della vicenda, forse ancora più paradossale, dell’impiegato assicurativo tedesco, recentemente licenziato in quanto considerato troppo competente, solerte e ligio al soddisfacimento delle esigenze di colleghi e clienti, e per questo motivo rimosso, perché col suo esempio avrebbe oscurato molti suoi superiori, e perché comunque non più ritenuto in linea con le aspettative di clima interno, orientato alla massima competitività tra colleghi, imposte dall’importante istituto per il quale lavorava?

Altrettanto impressionante, venendo al nostro Paese, è stata la statistica condotta quest’anno sulla cultura media dei neolaureati italiani, dove è emerso come il 90% di essi non siano in grado di formulare una frase di senso compiuto con la sintassi corretta, o di comprendere il significato di un comune articolo di giornale, malgrado una serie di corsi di studio, partendo dalle scuole elementari, di almeno 18 anni complessivi.

Infine, sempre in questo alveo di totale sfacelo, ma cambiando completamente settore, va ad inserirsi la sentenza dei giudici del tribunale campano, i quali lo scorso mese hanno assolto, e fatto scarcerare, l’omicida colto in fragranza di reato con la sua vittima agonizzante, solo per un banale vizio di forma, in quanto i poliziotti non si erano dichiarati come tali in modo tempestivo, durante il loro intervento.  Tale episodio paradossale appare come un chiaro esempio di incompetenza e superficialità da parte dei togati.

Ma da cosa deriva questa situazione che ha dell’assurdo, in quanto ravvisabile soprattutto in tutte le maggiori democrazie occidentali, dove il voto è libero, e dovrebbero valere concetti come la meritocrazia, la professionalità e l’onestà?

(continua)

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LA BUONA SCUOLA

Che bei tempi quelli in cui a scuola si rispettavano in modo quasi sacrale i professori, ci venivano assegnati compiti, si studiava, venivamo giudicati con voti spesso anche particolarmente severi, eravamo premiati o puniti dalle famiglie in base ai nostri risultati, avevamo periodicamente degli esami, e malgrado ciò la nostra esistenza di bambini e ragazzi scorreva leggera, e senza particolari ansie.

Ormai invece, la scuola è diventata un ricettacolo di malaffare e cattivi esempi, nei corridoi si spaccia droga, nei bagni i ragazzi si accoppiano tra di loro, e i professori sono spesso sbeffeggiati e vittime dei loro allievi, che arrivano persino a prenderli a botte se non sono accondiscendenti.

Lo status di docente, una volta rispettato ed ammirato, è stato svilito nel corso degli anni, e la volontà di promuovere tutti per assicurare l’istruzione universale, è stata travolta dalla famosa dittatura del “6 politico”.

Inoltre, anche i genitori degli studenti ormai difendono a spada tratta i loro rampolli viziatissimi nei confronti dei professori, non accettando i voti negativi vissuti come sconfitte, e si comportano spesso in modo peggiore dei figli, senza insegnare loro l’educazione ed il rispetto nei confronti dell’autorità; di conseguenza, i poveri maestri sono spesso sballottati tra una scuola sempre più approssimativa e con strutture fatiscenti, la necessità di far andare avanti tutti, – sancita dalla legislazione e ribadita dai presidi – e la maleducazione dei familiari dei loro allievi.

Infine, è arrivata quest’anno la nuova legge che regolamenta le contestazioni degli scolari e dei loro genitori in merito alle votazioni negli scrutini: sarà possibile ricorrere presso il tribunale amministrativo regionale per ogni singolo voto ricevuto, citando in giudizio il relativo professore, e quest’ultimo dovrà a quel punto motivarlo con prove concrete, per cui in questo caso vi sarà una sorta di inversione dell’onere della prova.

Nel caso in cui il tribunale desse ragione allo studente, sono previste inoltre sanzioni nei confronti degli insegnanti, oltre al pagamento delle spese processuali, che possono andare dal rimborso per lo stress patito da allievi e familiari, sino alla sospensione, e addirittura alla radiazione del professore, il quale potrebbe essere licenziato con decorrenza immediata, senza la possibilità di insegnare anche nel futuro.

Nei casi più gravi, di bocciature considerate improvvide, nella nostra giurisdizione dopo secoli viene persino reintrodotto il diritto alla faida, abolito dall’imperatore Rotari, e da questi sostituito nel 643 con il più lieve guidrigildo, consistente in un indennizzo in denaro.

Per la famiglia dello studente offeso sarà quindi legittimo, in sostanza, vendicarsi fisicamente sul docente e sui suoi familiari.

Se invece l’insegnante vincesse il procedimento giudiziario e dovesse restare a esercitare il suo ruolo, sarà comunque possibile per l’allievo ricusarlo negli anni successivi, e quindi avere diritto ad un altro tutor per ogni materia.

Insomma, si tratta di una normativa particolarmente garantista per i ragazzi, ed estremamente afflittiva nei confronti del corpo insegnante, sottoposto a vessazioni e ordalie come i malviventi nel Medioevo.

Molti hanno tentato di ribellarsi a tali leggi, mediante l’istituzione di varie forme di protesta anche eclatanti, ma senza ottenere alcun risultato tangibile.

Purtroppo, temo che i tempi spensierati in cui genitori e ragazzi non drammatizzavano ogni voto negativo e ogni bocciatura, avevano ancora un po’ di educazione, e permaneva il rispetto per gli insegnanti, sia destinato a non tornare mai più.

In compenso il livello di quello che i politici chiamano con enfasi “buona scuola” continua ad abbassarsi, e il risultato di tutto ciò è che gli studenti possono ormai conseguire titoli di studio senza avere alcuna conoscenza neanche di livello elementare, per cui molti attuali laureati sono affetti da analfabetismo.

Un ex professore liceale, adesso impiegato in un circo

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GRAZIE!

Desideravo ringraziare tutti per il grande successo che avete riservato al mio piccolo sondaggio in merito al primo racconto, per il quale Vi chiedevo un voto sintetico. Avete risposto veramente in tantissimi, ed eventualmente i pochi che non hanno ancora avuto il tempo di dare un riscontro, possono farlo scrivendomi.

E infine vi svelo il voto medio ricevuto:

8,94

… Troppo buoni, grazie ancora e buona lettura del secondo racconto…

         LA TECNOLOGIA DIVINA

La tecnologia, sempre più potente e onnisciente, sta inesorabilmente assurgendo a nuova religione: un totem ormai da adorare, senza alcuna possibilità di contestazione, e quindi per sua stessa definizione infallibile, soverchiante sulle nostre esistenze, ed estremamente presente, se non invasivo, nell’ambito della quotidianità.

Questo nuovo credo iper-tecnologico ha adottato l’uso di cellulari e personal computer al posto delle chiese, con gli influencer a sostituire i sacerdoti.

Tale fenomeno probabilmente è favorito anche dalla crisi delle religioni tradizionali, in molti casi superate dalla secolarizzazione della nostra società, e afflitte dai problemi che le strutture ecclesiastiche devono attualmente affrontare, in termini di sempre minori vocazioni e scarsa frequentazione dei fedeli, il tutto unito alla caduta di molti dogmi.

E’ una dottrina di facile consumo, orientata al soddisfacimento immediato dei bisogni, senza profondità e radici storiche, vive nell’attimo attuale, e il giorno dopo è già aggiornata da altra tecnologia ancora più potente ed ossessiva, sino a creare una sua personale dittatura sulle menti dei propri adepti.

I casi, soprattutto di ragazzi, convertiti alle chiese dei social network, con tanto di riti esoterici di iniziazione via web, sono sempre più frequenti e bizzarri.

 Ad esempio, i seguaci del nuovo credo chiamato “HJKYWooooo/xxxxXXX@ ZZZ_BEAST.100101010110011001“ cantano salmi sotto forma di codici binari formati soltanto dalle cifre 0 e 1, meditano e pregano stringendo il cellulare come strumento di culto, si inginocchiano in adorazione davanti ai computer, e credono nell’avvento prossimo di una nuova divinità: essa sarà un individuo nato dall’unione tra uomo e macchina, con poteri e intelligenza illimitatamente superiori a quelli di qualunque essere umano; tale entità suprema li libererà definitivamente dalle ristrettezze e miserie della civiltà attuale, facendoli ascendere ad un nuovo grado di consapevolezza.

Queste promesse di felicità ed estasi future, sono però tutte limitate alla presenza su questa terra, non essendo previsto dalle attuali tecnoreligioni un aldilà, con un premio per chi si è comportato bene in vita, per cui si occupano in realtà del corpo più che dell’anima.

A proposito di eccessi di fanatismo, ha destato recentemente perplessità e clamore il sacrificio di un centinaio di giovani appartenenti alla confessione dei “Santi Internettiani”, i quali hanno digiunato per settimane sino alla morte, allo scopo di purificarsi dai peccati umani e chiedere il perdono per chi non crede nella perfezione della tecnologia, confidando che l’arrivo del nuovo Dio virtuale fosse ormai imminente, indotti a questo da un blog molto seguito, poi rivelatosi gestito da una persona psicolabile che si firmava “Il messia digitale”.        

Tragica e amarissima storia quella di questi ragazzi, quasi tutti provenienti da famiglie agiate, i quali, manipolati a distanza da un santone molto noto sul web, hanno prima costituito una comune per applicare nella loro vita i deliranti dettami della religione da questi imposta, consistenti in privazioni di ogni tipo e sacrifici autolesionistici sull’altare dell’adorazione per il potere di internet, e infine sono arrivati al suicidio collettivo, nell’attesa di un Salvatore tecnologico che non poteva manifestarsi.

Insomma, un genere di religiosità estremamente totalizzante, e in alcuni casi anche parecchio pericolosa, soprattutto per le menti più deboli e manipolabili, che spesso scaturisce dall’eccesso di tecnologia nelle nostre vite: sarebbe opportuno un ritorno a valori più strettamente connessi all’essere umano, in tutte le sue forme e manifestazioni!

(articolo prodotto da un programma di INTELLIGENZA ARTIFICIALE)