CRONACHE GROTTESCHE

L’ELOGIO DELLA SOLITUDINE

La solitudine, come valore e obiettivo a cui tendere, sta diventando uno dei nuovi miti della nostra civiltà.                                                                 

La possibilità di impiegare il proprio tempo nella parziale o totale assenza di altre persone, e quindi senza distrazioni, senza sottostare a compromessi, e senza dover tollerare diverse abitudini e stili di vita rispetto ai nostri, è sempre più apprezzata e ricercata. 

Questo fenomeno si innesta nella società attuale, caratterizzata da ritmi sempre più stressanti e incalzanti, dove la ricerca di quiete e silenzio appare spesso una chimera, con la necessità a volte di effettuare una introspezione psicologica in noi stessi, e nelle nostre nevrosi; ma probabilmente i fattori che lo determinano rientrano anche nel cambio di struttura sociale e del tipo di vita che si conduce nelle città, dove i rapporti umani sono più fugaci e difficili da mantenere rispetto alla tradizionale società contadina.

Spesso, alla rarefazione dei rapporti si abbina anche la loro superficialità, a causa della mancanza di tempo, ma anche per la disgregazione della famiglia tradizionale, sostituita da forme di convivenza temporanee e succedanee, volte ad un’ottica di più breve respiro, con inoltre sempre più nuclei familiari composti da una sola persona.

Sicuramente però, in tutto ciò ha giocato un ruolo di primo piano l’avvento della società dei consumi, basata appunto sulla produzione e sul consumo di beni, con la necessità di creare sempre nuovi bisogni da appagare, e quindi anche la necessità di guadagnare sempre di più, per soddisfare maggiori necessità di consumo.

La desertificazione dei sentimenti ha creato più ansia e insicurezza, soprattutto nelle giovani generazioni: le classi dirigenti, i responsabili delle grosse aziende, e i maghi della pubblicità sanno bene che i vuoti lasciati dalla mancanza di rapporti e relazioni vanno colmati in qualche modo, essendo l’uomo sostanzialmente un animale sociale, per cui hanno mano libera nel proporre nuovi prodotti, e indurre falsi bisogni nelle menti dei consumatori, sempre più ridotti da persone a cose, con l’unica funzione di far girare un’economia drogata, riempita di articoli inutili e a volte nocivi (vedasi ad esempio gli abnormi consumi alimentari dei paesi più sviluppati).

Ovviamente, il tutto è ora amplificato dai media, strumenti potentissimi che convogliano i comportamenti verso determinate scelte, rendendo i loro fruitori ancora meno liberi e sempre più solitari, esaltandone l’individualismo. 

E, a tal proposito, è di recente attuazione l’inserimento nella Costituzione dell’Unione Europea – fortemente voluto e approvato all’unanimità da tutti gli schieramenti politici – del cosiddetto “diritto alla solitudine”, che esalta la condizione di solitudine come strumento indispensabile di dialogo con sé stessi, e la proclama diritto inalienabile dell’essere umano.                                               

Ma tutto ormai pare orientare lo stile di vita verso forme di alienazione dalla vita comunitaria: i grandi centri urbani sempre più anonimi rispetto ai centri storici precedenti, la mancanza di veri spazi di aggregazione, i palazzoni dove si abita senza sapere se dall’altra parte del corridoio il vicino di casa sia ancora vivo, i computer e cellulari che permettono di isolarsi dalla realtà circostante;  addirittura i mezzi pubblici sono fatti per mantenere le distanze: ad esempio nei treni, con i sedili distanziati che hanno sostituito gli scompartimenti, i quali creavano vicinanza e permettevano la socialità tra i viaggiatori; le epidemie di Covid, vissute in modo traumatico da molti, che hanno acuito tale ricerca di distanza per ragioni di sicurezza; infine, anche a seguito delle stesse epidemie, la nuova organizzazione del lavoro basata sullo “smart working”, il lavoro da casa fatto in totale solitudine, che ha ulteriormente accentuato l’isolamento individuale.

In questo alveo di asocialità si innesta l’impossibilità di comunicare e di creare empatia dell’uomo moderno, che si trova da solo con i suoi problemi e nessuno con cui condividerli, per cui sono fioriti recentemente molti social network, i quali permettono di esprimere i propri stati d’animo e le proprie idee, però purtroppo senza approfondimento e senza dibattito, ma solo con la volontà di affermare in qualche modo la propria identità, spesso urlata, e a volte anche con l’insulto gratuito a chi non avvertiamo come simile a noi.

Il paradosso attuale è questo: viviamo in un’era in cui la comunicazione è estremamente sviluppata, e abbiamo la possibilità di interagire con chiunque dall’altra parte del pianeta, ma si tratta di un colloquio superficiale, spesso senza dialogo, fine a sé stesso, dove prevalgono le comunicazioni mediate dalla tecnologia.  Del resto, le relazioni umane autentiche sono complesse, comportano lo sforzo di comprendere l’altro, sacrificio e mediazione, spesso ci impauriscono con la loro difficoltà, mentre quelle digitali semplificano in modo elementare le cose, permettendo di evitare un vero confronto, che sarebbe invece alla base della crescita personale.

Gli esempi negativi in questo senso si sprecano: si va dall’aumento degli incidenti automobilistici, ma anche con mezzi pubblici, per distrazioni dei conducenti legate all’uso sempre più compulsivo di cellulari e tablet, spesso diventati dei veri e propri prolungamenti del corpo umano; ai fenomeni di depressione, studiati sulle persone che non ricevono abbastanza visualizzazioni e consensi alle loro pubblicazioni social; alla totale estraniazione dalla realtà di molti ragazzi che si creano identità digitali, con nomi e immagini finti sul web, grazie ai quali affermano una realtà virtuale diversa e a loro più congeniale, ma poi trasportano tale finzione anche nella quotidianità, finendo per vivere ai margini della  società e divenire dei disadattati; al fiorire di relazioni amorose su internet, dove ci si frequenta solo virtualmente, senza approfondire il rapporto e senza nemmeno vedersi nella vita reale di persona, spesso arrivando persino al sesso voyeuristico, consumato a distanza, sempre comunque rigorosamente da soli, ognuno all’interno della propria stanzetta, in rassicurante solitudine; per arrivare addirittura ai suicidi di persone che avevano smarrito il cellulare, considerato come l’unico vero amico, ancorché non umano,  che racchiude tutto l’universo dei propri pensieri, ricordi e passioni, e senza il quale la vita perde quindi di significato.

Insomma, quel fenomeno aberrante, che uno psicologo anni fa aveva preconizzato, definendolo “la morte del prossimo”, sta inesorabilmente prendendo piede, e appare sempre più difficile un ritorno alla riscoperta di genuini rapporti umani, basati sul confronto e la socializzazione.

(ESTRATTO DA UN SAGGIO PUBBLICATO NELL’AGOSTO 2024)

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CRONACHE GROTTESCHE

         IL BUDGET

Sempre questa parola mi era apparsa soffocante, violenta, ossessiva: il budget!

Che fosse inteso come obiettivo da raggiungere, come risultato economico da inseguire, o come dato di vendita da ottenere sul lavoro, mi pareva che ormai tutta la mia vita, e quella del mondo nel quale vivevo, ruotasse intorno a questo concetto, assurto a regola ferrea da rispettare, e tutti ormai si conformassero a tale supremo valore, o disvalore.

Io, povero impiegato sulla soglia della mezza età, ricordavo a malapena i giorni felici della fanciullezza, dove non c’era un budget da raggiungere, e non bisognava vendere o farsi vendere nulla da nessuno, ma semplicemente godersi la vita, accontentandosi di studiare, giocare, e apprezzare l’affetto dei propri genitori.

Tutto questo però con l’età matura era rapidamente finito, e, una volta entrato nel mondo dei grandi, tutta la mia vita lavorativa era stata permeata dalla dittatura del conto economico, che nell’azienda di servizi in cui lavoravo era sempre più portata all’eccesso, classico esempio peraltro della cultura capitalistica e sempre più liberista imperante. Le pressioni alla vendita dei prodotti nei confronti dei dipendenti avevano raggiunto il livello del parossismo, ed io, come peraltro quasi tutti i miei colleghi, vivevo sempre più con angoscia la mia occupazione.

Addirittura, il concetto di budget si era esteso agli altri aspetti della vita in comunità, per cui adesso tutti cercavano di fare l’affare, nelle relazioni, come nella famiglia, persino nella scelta del partner o degli amici, ognuno finiva per effettuare un proprio calcolo mentale, estremamente assimilabile al concetto di budget, per quanto questo potesse sembrare cinico.

Ero sempre più stanco e disgustato di tale stato di cose, e avevo cercato in vari modi una salvezza, con la religione, la scienza, l’adesione ad un sindacato, ma anche in tutte queste esperienze avevo riscontrato la ricerca di un risultato a tutti i costi, che mi inseguiva ovunque.

Alla fine, mi risolsi, per estrema reazione,  ad iscrivermi come volontario ad un collettivo di chiara ispirazione marxista-leninista, gestito da una società di mutuo soccorso: qui almeno si criticava in modo chiaro, e senza secondi fini o scopi di lucro, la società ultracapitalistica attuale, avente il denaro e il potere come unici valori; e giustamente la schiavitù del budget veniva violentemente attaccata come simbolo di una decadenza morale, in antitesi con i valori comunisti, improntati all’uguaglianza di tutti gli uomini, considerati come fratelli e compagni di lotta, e non produttori o consumatori di beni.      

Finalmente mi ritrovavo con persone che la pensavano come me, anche se forse in modo un po’ più estremista, con le loro teorie dell’applicazione del comunismo reale a tutti gli aspetti del quotidiano, e mi sentivo inserito in un contesto che idealizzava la caduta di quel sistema diventato marcio, basato sulla vendita e sull’utile a tutti i costi realizzato nel più breve tempo possibile.

Vissi per alcuni mesi il periodo più felice e sereno della vita, sin quando gradualmente la situazione iniziò a cambiare, e mi accorsi che la realtà era in fondo molto più complessa e difficile da modificare.  Il collettivo presso il quale prestavo servizio cominciò ad avere problemi di bilancio, e anche di affiliazioni: i soci erano sempre più anziani e quindi alcuni abbandonarono, non c’era molto ricambio, ed iniziarono a scarseggiare i volontari e anche i fondi per le attività prestate gratuitamente sul territorio, a favore dei più disagiati.

Per questo si tennero, sempre più frequentemente, riunioni febbrili organizzate dal direttivo, per ovviare a tale depauperamento di risorse umane e finanziarie, con richieste dapprima leggere, ma via via sempre più esplicite e incalzanti agli iscritti di reclutare nuovi adepti, di vendere testi che pubblicizzavano le loro idee, di raccogliere finanziamenti anche porta a porta, e così via.                                  

Mi sembrò perciò di precipitare nuovamente in un incubo che già conoscevo: anche nell’ambito di un’organizzazione che aveva solo intenti di solidarietà, ripudiava fermamente l’accumulo di denaro, e dove persino la proprietà privata veniva considerata un furto, si era finito per avere una serie di budget, con le solite pressioni sempre più pesanti ed estenuanti nei confronti dei sottoposti, laddove gli obiettivi non si riuscivano a raggiungere.                                

Certo, in questo caso i responsabili dell’organizzazione comunista erano convinti di agire per il bene comune e volevano solo continuare la loro opera e fare bella figura nei confronti degli altri aderenti, non essendo mossi dalla necessità di un profitto, ma purtroppo, non riuscendo a ottenere grossi risultati, i loro metodi ben presto si uniformarono in modo inquietante a quelli dei capi azienda, le cui idee avrebbero voluto contrastare.

Dopo ulteriori tensioni, totalmente esasperato, finii per licenziarmi dal lavoro, e mi dimisi anche dal circolo anti-capitalista, adattandomi ad osservare gli altri che tentavano di ottenere il loro risultato economico, e accontentandomi di quel poco che avevo messo da parte per poter sopravvivere, senza più sogni ma nemmeno budget.

(da un blog di privato degli anni 2020-2030)

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I DIFENSORI DEL PIANETA

Ha suscitato scalpore la recente legge approvata dal Senato Usa che intende cambiare la normativa sugli investimenti con criteri ESG, punendo penalmente chi dimostrerà di seguire tali criteri nel futuro per le scelte di investimento.

Come molti di Voi sapranno, l’acronimo ESG sta per Environment, Social, Governance, intendendo quindi il rispetto di determinate regole in materia di ambiente, sociali in genere, e di corretta gestione dell’azienda e dei rapporti con clienti, fornitori e dipendenti.   Negli ultimi anni la finanza ESG è stata portata ad esempio per l’abbinamento tra la ricerca di rendimento e la salvaguardia di norme morali e ambientali, e in tutto il mondo sono sorte normative che la regolamentano e la favoriscono, con molti fondi di investimento internazionali che si sono fregiati a lungo della relativa qualifica.

Soprattutto il tema ambientale, con i devastanti cambi climatici in corso, che stanno modificando e addirittura mettendo a rischio la vita dell’uomo sulla Terra, è particolarmente sentito da tutti, in modo particolare dalle nuove generazioni, preoccupate per il loro futuro.

Eppure, molte banche, fondi e aziende hanno verificato due ordini di problemi inerenti agli investimenti ESG: spesso le limitazioni di tipo morale e ambientale penalizzavano le società statunitensi, di solito particolarmente spregiudicate e poco responsabili in tal senso; inoltre, escludere determinati titoli, non rispondenti ai parametri richiesti, comportava lo scegliere in un universo investibile inferiore, precludendo la massimizzazione dei rendimenti.

Perciò, malgrado i fondati timori di tutte le popolazioni, i governanti dello stato più ricco e potente del mondo, hanno appena deciso di fare un voltafaccia completo con tale legislazione, la quale impone pene pesantissime per i gestori di portafoglio che manterranno anche i parametri ambientali nelle scelte di investimento; questo, secondo i regolatori, al fine di tutelare le aziende domestiche e non penalizzare il ritorno atteso di fondi di investimento e fondi pensione.

Tutto ciò in barba a tutti i costi, le limitazioni, e i sacrifici nello stile di vita che i cittadini hanno dovuto subire recentemente, per cercare di difendere in qualche modo il nostro pianeta dai cambiamenti climatici.

Addirittura, lo stato americano ha deciso di infliggere sanzioni penali durissime, che potranno arrivare sino all’ergastolo, per chi reitererà nelle scelte di investimento la selezione dei titoli seguendo la tassonomia ESG, sovvertendo quindi completamente e in modo brutale la normativa precedente.

Per non essere da meno, la Cina, lo stato divenuto ormai diretto concorrente nella competizione mondiale, oltre che seconda economia del pianeta, ha pensato bene di introdurre leggi ancora più severe per le aziende, i fondi di investimento, e le banche che discriminano le società in base a parametri ambientali: in questo caso le possibili condanne massime prevedono addirittura la pena di morte!

Insomma, pare essere finita la moda green, che ha tenuto banco per anni: in un’ottica estremamente miope, volta al soddisfacimento di bisogni egoistici a breve termine, si è deciso che l’unica cosa importante è fare soldi, mentre alla difesa del pianeta ci penserà eventualmente la generazione successiva, sempre se ci sarà ancora qualcosa da difendere.

(articolo del 2024, tratto dal sito internet della più nota associazione ambientalista del periodo, “Greenpeace”, poi sciolta d’imperio pochi anni dopo per decisione unanime delle principali nazioni)

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LA WOKE CULTURE

La cosiddetta cultura “woke” sta permeando e influenzando i comportamenti del nostro tempo, in maniera sempre più pervasiva e a volte contraddittoria: tale termine – entrato nel lessico comune come simbolo di correttezza e di attenzione alle ingiustizie sociali – sta assumendo in certi casi una connotazione negativa, a causa degli eccessi provocati.

Nato nei paesi anglosassoni dal termine “awake”, risveglio, per sintetizzare soprattutto le lotte degli afroamericani per i diritti civili e politici, si è esteso a tutto il mondo occidentale, significando la ricerca delle nuove sensibilità sull’uguaglianza di genere, le battaglie per la non discriminazione di persone lesbiche e gay, il revisionismo storico nei confronti degli invasori europei (rei di aver cancellato le culture di molti popoli nativi), la tutela di tutte le minoranze, ecc.

Negli ultimi tempi però la parola woke è simbolicamente legata agli eccessi del politically correct, che sempre di più sta assumendo le forme di una nuova dittatura: nato per eliminare ingiustizie e forme di discriminazione, si è gradualmente trasformato in una battaglia ideologica, a volte persino grottesca, contro tutto ciò che può confliggere contro i diritti di ogni minoranza, finendo per assurdo per creare nuove discriminazioni ed esclusioni dalla vita politica, culturale e sociale, nei confronti di chi non rispetta tale dittatura della forma.

Si è partiti dall’abbattimento delle statue di Cristoforo Colombo negli Usa, in quanto simbolo del razzismo e del colonialismo, tipico caso di “cancel culture”, passando al cambio di genere della maggior parte delle parole del vocabolario, per trasformarle dal maschile – avvertito come oppressivo e simbolo di cultura patriarcale – al genere neutro, sino ad arrivare ad alcuni eccessi addirittura ridicoli.

E così, nelle scuole è stato vietato l’insegnamento di molti classici, dai greci ai latini, da Dostoevskij a Proust, in quanto nelle opere – spesso capolavori assoluti dell’umanità – sono presenti violenze, stupri, discriminazioni di genere e di censo, e termini non politicamente corretti.

In tutti i Parlamenti occidentali, e in molte imprese multinazionali, si sono introdotte quote obbligatorie, rappresentative dei 99 generi sessuali attualmente riconosciuti, con tutto ciò che questo può comportare in termini di meritocrazia.

Tutti i film, telefilm, spettacoli teatrali, e in genere opere di finzione, sono al momento sottoposti ad una rigida censura, che ne valuta il frasario per renderlo omologato alla cultura woke, e in molti casi ne modifica persino la trama, non ritenuta ad essa consona, col risultato di trasformarla spesso in un guazzabuglio incomprensibile.

In alcuni paesi dell’Unione Europea, nel continente storicamente simbolo della libertà e democrazia, sono state introdotte leggi ferree per la tutela dei comportamenti ritenuti eticamente corretti, come l’arresto per le coppie etero sorprese a baciarsi all’aperto, in quanto apportatrici di comportamenti discriminatori nei confronti degli altri generi sessuali.

Infine, persino le maggiori religioni hanno dovuto adeguarsi a tale dittatura della correttezza formale, estendendo il ministero religioso a tutti senza distinzioni, e modificando addirittura alcuni dogmi ritenuti discriminatori, poiché basati su idee retrive e patriarcali.

Insomma, una cultura della forma a tutti i costi, che diventa sostanza, ma peggiorando la realtà: nata per eliminare le differenze tra gli uomini, finisce invece per acuirle, per reazione, e per incapacità di trovare una mediazione tra la tutela delle minoranze e il buon senso.

Questo stesso articolo probabilmente verrà censurato, e non potrà mai essere pubblicato, alla faccia del diritto alla libertà di espressione.

(articolo scritto da un noto giornalista,  per il Washington Post,  nel  gennaio 2025,  ma mai pubblicato,  in quanto bloccato dalla implacabile censura degli Stati Uniti d’America, all’epoca considerati lo stato maggiormente garante dei diritti civili e di espressione)

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L’ APPARENZA

Ormai è tutta apparenza, la forma ha preso nettamente il sopravvento sulla sostanza: in un mondo governato dai media e dai social media, è molto più importante apparire che essere; inoltre, anche la legislazione ha recepito molti modi di pensare e comportamenti che finiscono per amplificare tale fenomeno, forse nel tentativo di adattarsi alla realtà e restare al passo con i tempi.

E’ divertente pensare a quante cose si facciano per abitudine e convenzione, più che per eccessiva necessità.

A tutti noi capita sempre più spesso, nella vita privata come sul lavoro, di porre in essere una serie di comportamenti che non incidono realmente sulla qualità e quantità del risultato o del prodotto finito, ma semplicemente sono obbligatorie, in quanto destinate ad avvalorarci e farci percepire in un certo modo dagli altri: ormai, più che fare le cose, bisogna far vedere che le si fa… Non si tratta solo di eccesso di burocrazia, la quale è sempre esistita: ora tale fenomeno è accentuato probabilmente dal vuoto totale di contenuti in molti aspetti del nostro vivere, che vengono riempiti di banale, superfluo e inutile.

A tal proposito un esempio, che definirei eclatante, mi è stato narrato da un amico, dirigente presso una importante multinazionale: nel suo staff è presente una ragazza laureata col massimo dei voti presso una prestigiosa università, assunta circa cinque anni fa per sviluppare delicati progetti ingegneristici, ma selezionata anche grazie alla sua appartenenza ad un gruppo di pensiero protetto, per il quale la normativa attuale prevede delle quote minime di partecipazione in ogni azienda di grandi dimensioni.               

Trattandosi però, nel caso dell’impresa in questione, di progetti contrari al modo di pensare “purple”(*) della giovane, questa si è sempre rifiutata di svilupparli, e quindi praticamente passa il tempo leggendo i giornali o navigando su internet, mentre il team degli altri impiegati lavora nel medesimo ufficio.                                                                                          

Dal canto suo, l’azienda non la può licenziare e nemmeno sospendere, in quanto violerebbe la legge sul pensiero purple recentemente approvata, esponendosi per di più a gravi ricadute in termini reputazionali e di immagine, – visto il dilagare imperante di tale ideologia –  per cui questa situazione assurda si protrae da anni senza soluzione; la dipendente continua a percepire lo stipendio senza fare nulla, mentre gli altri sgobbano anche per lei, e la multinazionale si rifiuta di assumere altro personale, in quanto incorrerebbe nello stesso rischio di avere stipendiati che non fanno nulla.

La cosa però più scandalosa è che tale azienda allo stesso tempo tartassa ed effettua pressioni enormi sui colleghi che lavorano, perché completino i progetti nei tempi previsti, con budget terribilmente competitivi, assegnando loro sempre più oneri, dovendo inoltre essi sopperire all’assenza di utilità della ragazza.

Qualcuno ha recentemente pensato di dichiararsi “purple” a sua volta, per poter beneficiare anch’egli di tale status, ma non ha superato il durissimo e probante test di verifica delle caratteristiche e credenze purple, alla presenza di psicologi e medici del lavoro, per cui è dovuto tornare a lavorare alacremente, senza discutere, sotto lo sguardo indifferente dell’ultima arrivata, che si limita a incassare lo stipendio.

Tutto il mondo del lavoro e la stessa organizzazione sociale stanno attualmente avvalorando tali comportamenti, che però purtroppo comportano enormi rischi e ricadute in termini di efficienza e creazione di benessere collettivo nei paesi occidentali.

Insomma, il trionfo del nulla sulla vita concreta e sulle sue complessità, che si sta ergendo a nuovo mito di una generazione, con l’avallo delle istituzioni e dei mezzi di comunicazione, tutti orientati in modo spasmodico nel seguire le mode, probabilmente anche nell’intenzione di distogliere l’attenzione dei cittadini dai veri problemi.

(A. COTTIMO, ex dirigente di azienda, attualmente in quiescenza con minimo pensionistico, dopo 55 anni di contributi)

(*) Purple: filosofia di vita che condanna il lavoro come mezzo di produzione di beni e servizi e di coercizione delle persone, teorizzando un reddito universale per tutti, indipendentemente dalla loro partecipazione alla vita lavorativa. Tale filosofia non approfondisce però chi e come dovrebbe assicurare il mantenimento del livello di benessere della società.

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LA KAKISTOCRAZIA (II parte)

Molti sono stati gli studi di importanti esperti politologi, sociologi e psicologi in merito, che hanno sostanzialmente identificato tre cause principali di tale situazione.                                                                                                           

In primo luogo, viene attribuita gran parte della responsabilità alle generazioni di governanti precedenti, i quali non hanno preparato apparati dirigenziali alla loro altezza, spesso contornandosi di personalità mediocri, e depauperando progressivamente scuola ed università, al fine soprattutto di non avere persone preparate e dotate di spirito critico, in grado quindi di contestarne l’operato.

Ovviamente tali classi di funzionari e dirigenti, una volta salite al potere nella loro organizzazione o azienda, hanno favorito l’ascesa di altre persone di loro fiducia, ancora più impreparate e insignificanti, in modo da poterle controllare e non rischiare di essere oscurate da loro, in una lenta spirale negativa; il classico slogan, in questi casi utilizzato sino allo sfinimento, è: “Voglio che lavori per me soltanto gente fedele, non competente!”

Un’altra causa è sicuramente legata all’esplosione tecnologica, purtroppo mal gestita, la quale ha permesso di automatizzare molti processi, e di rendere semplici operazioni e lavorazioni, una volta demandati all’estro e alla creatività del singolo operaio o impiegato; questo ha prodotto nel cervello umano una deresponsabilizzazione, con il risultato che siamo portati a non approfondire più i temi, ma ad accontentarci di testare solo la superficie delle cose.  Così come nell’informazione ci fermiamo alla sintesi della notizia senza verificarla, rendendoci quindi più simili ad un gregge belante e manipolabile, che a cittadini critici e consapevoli delle problematiche del mondo nel quale viviamo.

Infine, gli studi sul problema attribuiscono una grande responsabilità anche al crollo di molti valori e credenze politiche che hanno permeato le società occidentali sino al termine del secolo scorso, il cosiddetto “secolo breve”: infatti con il crollo del muro di Berlino, per definizione si riscontra la fine di un’era basata su determinati equilibri, sullo scontro tra blocchi supportato dalle relative ideologie, le principali delle quali, liberismo e comunismo, ancorché in contrapposizione tra loro, davano comunque un senso ad un certo tipo di organizzazione sociale.

Il tutto acuito anche dalla crisi di molte religioni, che per anni hanno fornito – comunque la si pensi – una giustificazione a valori come l’impegno e la serietà, cercando di imporre regole morali essenziali per il corretto funzionamento della società.

Tutto ciò ha approfondito il vuoto esistenziale degli uomini, diventati ormai solo consumatori di beni, e aventi come unico fine il guadagno a tutti i costi, in un circolo vizioso e parossistico, dove domina la ricerca del soddisfacimento del bisogno immediato, e quindi l’ottica di breve termine, senza la necessità di programmare e impegnarsi in piani di più ampio respiro, con una visione di conseguenza non certo lungimirante.

Oggi siamo quindi arrivati al paradosso della kakistocrazia, dove le competenze sono bandite, trionfano i peggiori a tutti i livelli, e la meritocrazia è costantemente e sistematicamente calpestata.

Ma come si può uscire da questa spirale di degrado? Probabilmente con una grave crisi, che faccia pulizia a tutti i livelli, e favorisca poi il riemergere dei valori reali di persone e cose.

(M. LA CAUSA, ex magistrato, attualmente detenuto ai lavori forzati in un penitenziario di massima sicurezza)