Cronache Elisabettiane

da “L’amore inutile” di Elisabetta Giudici

Fare bene il Bene.

Bene.

Ti sembra poco,

Amico mio?

A me pare il tutto

del senso

o

il senso del tutto.

E non c’era più nulla , non c’è più nulla, ora come allora, solo la nostra amicizia.

La spiaggia, con i rami di palme mossi dal vento.

Potrebbe essere altrove, potrebbe essere qui. E’, mentre da lontano note di violino struggenti che ci graffiano il cuore ci ricordano che il tempo non esiste. O forse non è mai esistito, se il tempo di rivederci è già passato.

“ Si, Witty, domani”

“Ci vediamo”

Perché essere amici, l’amicizia sacra come la intendiamo noi, come noi la viviamo, è l’unico modo per addomesticare il dolore.

E la morte che prima o poi verrà. Se qualcosa dovrà accadere, io sarò più vera, più forte e più sicura, se non sarò totalmente sola, se non saremo soli, in attesa che i nostri ricordi, insieme, ci riportino sulla strada della luna, in una sera, al mare del primo autunno, quando tutto doveva ancora venire.

E non lo sapevamo, non potevamo immaginare.

“Ma tu ci pensi che tra un po’ finiscono le vacanze?”

Sospirone. Profondo dissenso.

“Ricomincia la scuola”

“ Io non ho ancora fatto i compiti”

“ Domani li facciamo insieme, ti aiuto io. Ora non ci pensare, ti aiuto io”

Appunto.

E’ tutto lì il senso della vita. E vale per tutto e tutti, non solo per l’amicizia. Vale per ogni “altro”.

E per un oltre, un al di là delle cose e forse anche di noi stessi: quel ti aiuto io che senza amore non avrebbe senso di esistere. Non ci sarebbe niente senza amare.

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Cronache Elisabettiane

da “L’amore inutile”

Treno, aereo, nave, auto, pullman…ciascuno si sistema al suo proprio posto. E, in questo segmento di tempo che noi chiamiamo vita, e in questo viaggio che a noi pare eterno ci trovi lui, il mio amore inutile che, come un treno, un aereo, un pullman… si fa carico di tutti e di tutto: non domanda nulla, lascia salire. Si fa guidare, e nemmeno sa bene dove andare, nemmeno ha bisogno di chiedere, perchè chi conduce è un altro, è Altro. Il compito dell’Amore inutile, di tutti gli amori inutili del mondo è proprio questo: portare, portarsi, ma lasciarsi guidare. Il conducente è un altro, l’amore eterno, il principio assoluto di esistere, la ragione e il significato… eterno è il soffio che ci riconduce all’amore che ci ha voluti. E i dubbi non hanno memoria e nemmeno strade.

Segui il mio sogno

Conosce la strada: io con te

tu con me: potrei svegliarmi

e lo so

apparente,

eterno movimento

che non dorme

sono:

divengono,

voli di sogni, progetti

solchi,

orme di passi mai perduti,

metodica dell’amore

e’ il bene.

Più forte del no eterno,

del peggio della morte,

del no significato

significante e dell’inutilità:

e’ destino.

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Cronache Elisabettiane

Da questo giovedì, sino a Natale, il mio blog ospiterà i racconti e le poesie dell’amica Elisabetta Giudici.

Chi è Elisabetta Giudici?

E’ nata e vive a Savona, laureata in filosofia, impegnata da sempre nel sociale e in numerose attività di volontariato, si occupa professionalmente di Economia Circolare, recupero e valorizzazione di testimonianze, spazi ed eventi vintage, con particolare attenzione alla riqualificazione etica, artistica e culturale del commercio.

Tante le sue opere e difficile la scelta degli estratti, ma cominciamo con L’Amore Inutile, prosimetro in cui Elisabetta alterna prosa e poesia esaltando il mondo esterno e l’io interiore di Astrid, la protagonista.

Scoprirete che L’Amore Inutile non è inteso nella sua accezione negativa. Ma non voglio svelarvi altro… buona lettura!

da L’AMORE INUTILE

Tu non sai

quanto

io ti pensi.

ti penso in ogni istante

perchè sei l’istante

e anche

l’eternità.

non so cosa significhi,

che cosa si modifichi,

mentre

mente e cuore

si perdono di là di te,

tu mi ascolti

tu mi parli

e ti importa di me.

Tu mi guardi, ti accorgi di me

e

ti prendi cura di me.

mi chiedi come stai

e potrei dirti

che questo + già amore,

per me l’amore:

guardarmi,

vedermi,

vedermi e capire,

amarmi.

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CRONACHE GROTTESCHE

Con questo articolo termina il cospicuo gruppo di racconti intitolati “Cronache grottesche”. Confidiamo che abbia incontrato il Vostro interesse, e ci rivediamo a breve per nuovi contenuti su questo sito. Grazie a tutti per il caloroso seguito dimostrato.

        

IL CONFLITTO

In Europa si creò improvvisamente una strana situazione: ogni popolo aveva paura degli altri, e nessuno si fidava più delle altre nazioni.

Alcune potenze straniere soffiavano sul fuoco dello scontro, contando in futuri vantaggi economici e di allargamento delle proprie sfere di influenza, mentre i paesi occidentali temevano un’avanzata inarrestabile degli orientali, capitanati dal paese più esteso al mondo, governato da una dittatura, e primo detentore di armi nucleari, che a sua volta si sentiva circondato da nemici che volevano minarne la sovranità.

Perciò, i vari stati si affidarono a governanti che li difendessero, scegliendo i più reazionari e meno competenti – di solito quelli che urlavano più forte, arringando la folla e instillando la paura del nemico – e questi, muovendosi come ciechi nel labirinto in cui loro stessi si erano cacciati, iniziarono ad armarsi, e a preparare le loro opinioni pubbliche alla guerra, fino ad allora considerata un tabù, dopo quasi un secolo dal precedente conflitto mondiale.

Gli interventisti presero lentamente il sopravvento sui pacifisti nei vari dibattiti, le opinioni pubbliche vennero manipolate e sostennero i loro rappresentanti in politiche sempre più aggressive, sobillate da media compiacenti con l’establishment; i poteri nazionali e sovranazionali ritennero accettabile anche l’uso della forza per sancire e difendere i loro ideali  di organizzazione statale, che fosse la democrazia o il totalitarismo non importava, e al contempo cercando una soluzione nella guerra alle crisi economiche e alla crescita inarrestabile dei debiti, che durante i conflitti militari tendono di solito a svalutarsi grazie all’inflazione galoppante.   I potenti degli stati europei, da una parte e dall’altra, camminavano come sonnambuli sull’orlo dell’abisso, facendo correre il rischio del disastro a centinaia di milioni di persone, nel continente maggiormente ricco, colto e con le tradizioni storiche più consolidate, emblema e culla della civiltà moderna.

Dopo anni di minacce, piccoli scontri locali, sanzioni economiche e ritorsioni contrapposte, quando gli orientali decisero di attaccare i paesi confinanti, per estendersi verso ovest, e riconquistare molti territori a cui avevano rinunciato con la disgregazione del loro ex impero, la guerra continentale scoppiò, violenta e assurda, mentre le diplomazie passarono in subordine.

Ma questo scontro tra diverse civiltà non poteva combattersi con le sempre più sofisticate armi nucleari, perché ciò avrebbe comportato la fine del genere umano, e quindi, in una sorta di tragico gioco, entrambi i contendenti inizialmente si adattarono ad affrontare le battaglie con armi convenzionali, con la lotta di trincea, addirittura con scontri corpo a corpo.

Il paradosso che contraddistingueva questo immenso evento bellico, per la prima volta nella storia, era l’impossibilità per entrambi i contendenti di utilizzare tutta la forza del proprio arsenale per sconfiggere l’avversario, in quanto la reazione di questo avrebbe portato a danni irreversibili addirittura per tutto il pianeta. E quindi, per anni le battaglie si susseguirono con perdite cospicue e distruzioni da una parte e dall’altra, ma rispettando sempre tali regole paradossali auto-imposte, come nella recita prestabilita di un dramma.

Alla fine, gli orientali si trovarono però in difficoltà, e, messi alle strette, di fronte allo spauracchio della sconfitta che avrebbe sancito la dissoluzione della loro nazione, decisero di usare l’arma finale: lanciando una bomba atomica tattica nel cuore del campo nemico, scoperchiarono il vaso di Pandora dell’autodistruzione del genere umano.                                                

Gli avversari occidentali avrebbero potuto rispondere con ordigni della stessa intensità, ma il rischio di una escalation sfociante nell’armageddon nucleare era troppo grosso, e decisero quindi, per la prima volta, di trattare contro i loro mortali nemici, che avevano violato il tacito accordo sulla guerra non convenzionale: si arrivò così forzatamente ad un armistizio, dove entrambi gli schieramenti ritornarono ai confini originari, come se nulla fosse successo, e la morte di svariati milioni di persone mandate al massacro, con conseguente devastazione materiale e morale del vecchio continente, fosse stato un mero episodio accidentale.

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CRONACHE GROTTESCHE

GLI IMMORTALI

Uno specchio degli strani tempi che stiamo vivendo è sicuramente rappresentato dai sempre più frequenti casi di famiglie gestite dai nonni e a volte persino dai bisnonni.

Chiaramente tutto ciò è stato favorito negli ultimi anni dal miglioramento progressivo delle condizioni di vita, e dall’innalzamento dell’età, ma a questo punto tale aspetto sta raggiungendo proporzioni alquanto preoccupanti, soprattutto se lette in previsione futura.

Questi attivi pensionati, che una volta, superati gli 80 anni si dedicavano al riposo, ormai sono spesso ancora gli unici punti di riferimento per tutto il menage familiare: gestiscono i nipoti e i pronipoti, mandano avanti la casa, contribuiscono spesso con le loro pensioni al bilancio, si occupano di tanti aspetti burocratici e pratici della vita quotidiana, amministrano le finanze, e prendono le decisioni più importanti per conto di tutti gli altri familiari.

Molti di loro addirittura continuano a lavorare, pur essendo ormai ottuagenari, viste le ultime modifiche al sistema previdenziale che prevede un minimo di 55 anni di contributi.

I loro figli e nipoti si affidano costantemente a questi arzilli vecchietti per tutti gli aspetti complicati della vita, spesso rifugiandosi nel loro viziato torpore, limitandosi, nella migliore delle ipotesi, a svolgere unicamente la propria occupazione lavorativa, e, quando i vetusti parenti vengono a mancare, sono totalmente sprovvisti di informazioni ed esperienza per andare avanti, trovandosi spesso in grave crisi, assolutamente impreparati ad affrontare le varie sfide dell’esistenza.

A tal proposito, anche nell’ambito industriale e finanziario, i casi – recentemente balzati agli onori della cronaca – di grossi gruppi imprenditoriali governati attivamente da capostipiti ormai ultracentenari, rappresentano a nostro avviso una distorsione nell’ambito della corretta governance aziendale, non permettendo un sano e corretto ricambio generazionale, col rischio di allevare una futura classe dirigente di inetti e incapaci. Eppure, questi brillanti dirigenti, malgrado la presenza di una pletora di eredi e collaboratori, continuano imperterriti la loro attività con pugno di ferro, senza pensare minimamente ad abbandonare la guida, malgrado abbiano ormai superato il secolo di vita.

Se, da un lato, può essere consolante per tutti noi pensare che avremo sempre più tempo per intraprendere nuove sfide rispetto ai nostri avi di altre epoche, d’altro canto risulta inquietante l’affidarsi della società, a tutti i livelli, a questi esseri quasi immortali, a loro volta bulimici di esperienze, ma incapaci di far crescere i propri discendenti.

(estratto dalla rivista “I CENTENARI”)

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