da Giovanni Ollino | Dic 23, 2024 | cronache, I gialli
Racconto giallo di Vittorio Nicoli
Seconda puntata
Venuti entrò nella stanza abitata dalla povera signora Rossi ove il medico legale e la scientifica stavano facendo i rilevamenti del caso e sbottò: ”Strangolata! ancora una morte diversa e tutto in disordine come fosse passato un ciclone”.
Il medico legale con modo piccato gli fece notare che era lui a stabilire modo e tempi del decesso, ma dovette dar ragione al commissario.
Questi, con un rapido giro dello sguardo, poté affermare con sicurezza che il disordine era voluto e creato ad arte, chi aveva agito voleva sviarli. Ovviamente nessuna arma del delitto, ma in questo caso sarebbe bastato un foulard o una piccola corda. Diede disposizione di sentire nuovamente il personale del piano, i tre omicidi erano avvenuti a piani differenti per giunta. Lui si riservò il colloquio con il Pizzi nell’ufficio da lui occupato, una specie di sarcofago – così gli era parso la prima volta -.
“Buongiorno commissario, ci rivediamo ancora purtroppo!” il volto del Pizzi tradiva sgomento e fastidio; ovviamente la presenza del Venuti lo irritava.
“Certo che se lei non smette di far morire i degenti qui la baracca chiude,” – fu l’esordio del commissario – “non credo che la direzione sia così felice, ma su con la vita, c’è la fila fuori di parenti che vogliono liberarsi dei pesi e in qualche caso mettere le grinfie sul gruzzolo”.
Pizzi gli lanciò uno sguardo cattivo e rispose “ Sarcasmo fuori luogo, pensi a fare il suo lavoro, sono due mesi dal primo omicidio e non ha trovato nulla…”
Le stesse parole del sostituto procuratore: devono essere d’accordo, forse giocano assieme a scopone, o meglio tresette col morto. Hanno ragione comunque, non sto cavando un ragno dal buco, vediamo se con questo terzo caso si riesce a capire qualcosa in più. Comunque conosco già le risposte del Pizzi. Mi dà la cartella della vittima, ne fa un veloce quanto vuoto riassunto della vita qui in struttura e mi liquida dicendo che ha da fare. Ah, mi mette in contatto con i parenti, ammesso che ci siano.
L’ufficio del Pizzi consta di una scrivania austera quasi spoglia – “neppure un fermacarte mannaggia!” – un casellario per i dossier medici dei degenti, uno per le loro note personali, – “e questo mi è sembrato strano” – un computer un po’ datato, un paio di quadri di anonimi imbrattatele, e la sua laurea incorniciata. Pareti chiare quasi stinte, pavimento scuro, ma questo non è responsabilità sua. Mette il magone, neppure una nota di vita.
Venuti ottenne il dossier ed i contatti dei parenti della Rossi: giusto per non avere qualcosa di strano, vivevano in Australia ed erano due nipoti. Addio legami, questi non vedevano la zia da due anni, forse avevano la fotografia nell’album di famiglia. Si dispose alla solita ricerca sulla vita della malcapitata per trovare assonanze con le altre vittime e per cercare un movente; ogni idea di serial killer, che tanto emozionano i cronisti e gli appassionati dei film americani, era da escludere, in quanto coincideva soltanto l’ora del delitto, la sera. Su quello doveva provare a lavorare, ma se non riusciva a capire il movente, difficile arrivare ad una soluzione.
Il personale presente al momento dei delitti era sempre diverso, trattandosi di piani diversi della struttura e la vita del Pizzi…ma che vita, era uno zombie che oltre al lavoro passava poche ore in biblioteca sempre su testi medici.
Eppure, non poteva che essere un dipendente della casa e doveva avere un nesso con i tre omicidi in qualche stramaledetto modo.
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da Giovanni Ollino | Dic 17, 2024 | cronache, I gialli
Racconto giallo a puntate di Vittorio Nicoli
Inizia da questa settimana un racconto a puntate di genere giallo, scritto dal fraterno amico Vittorio Nicoli, che ci terrà compagnia, con la sua suspense, per tutto il prossimo mese. Buona lettura!
La casa di cura
L’inserviente entrò nella stanza della signora Rossi per accompagnarla come ogni sera nel locale comune dove si svolgeva la cena per gli ospiti della casa di cura; la signora Rossi dimorava lì da circa cinque anni, da quando era mancato suo marito e lei aveva deciso di non pesare sui nipoti ritirandosi in buon ordine in quel luogo che la sua pensione, invero piuttosto magra, e i pochi risparmi faticosamente accumulati le permettevano di pagare.
Insomma, la casa, o se vogliamo nominarla con l’altisonante denominazione scelta dal Comune dove era situata:“ Il rifugio felice dei nonni”, non era una dimora lussuosa ed era la meta finale di persone di ceto modesto, per lo più operai e piccoli impiegati, talvolta però anche persone abbienti vittime dell’ingordigia dei parenti.
Appena varcata la soglia, la donna capì che qualcosa non tornava: la stanza era in disordine come sempre, ma un disordine strano non dettato dalla disattenzione e scarsa memoria della signora Rossi, bensì da una scientifica e meticolosa ricerca da parte di qualcuno che aveva vuotato i cassetti, aperto l’armadio, facendo cadere le grucce con i pochi abiti, vuotato e rivoltato le borsette della povera vittima.
Sì, vittima perché la Rossi era riversa a terra esanime. L’inserviente cacciò un urlo e si precipitò nel corridoio cercando aiuto mentre esclamava “Ancora! Un’altra vittima! Dio mio, Dio mio!”
Accorsero immediatamente altri colleghi e mentre uno cercava di calmare la malcapitata fortemente scossa dalla scoperta, altri due entrarono a loro volta nella piccola stanza per accertarsi del fatto. Arrivò anche il medico della struttura, un uomo alto ed austero, la cui incombente e trista figura subito provocò la ritirata degli altri inservienti, i quali fecero largo in modo che egli potesse constatare il decesso della Rossi, cosa che avvenne in brevissimo tempo.
Il medico, dottor Pizzi, lavorava in quella clinica da ormai dieci anni e come detto la sua figura incuteva rispetto e timore, malgrado nella realtà egli fosse un timido ed introverso. Giunto alle soglie dei quarant’anni non aveva ancora trovato moglie, malgrado parecchie storie naufragate proprio per la sua timidezza ai confini della patologia. Il lavoro era palesemente un ripiego: ben altra carriera aveva immaginato quando era giovane studente universitario, ma anche in questo caso la sua indole lo aveva privato di un degno riconoscimento e lo aveva portato in quel luogo piuttosto triste.
Impartì alcune veloci disposizioni: che nessuno entri, chiamate la polizia, avvisate i parenti, stop. Abituati al suo linguaggio stringato i dipendenti si disposero subito ad eseguire, solo uno – tal Marco – chiese se fosse necessario informare anche la proprietà della struttura. “Certo, certo era sottinteso” bofonchiò il Pizzi.
Circa mezz’ora dopo il commissario Venuti era sul posto. Nuovamente.
“Terzo omicidio in due mesi, per Dio! Ma è una casa per anziani o l’anticamera dell’obitorio?” Si accorse subito di aver detto una bestialità ed un’ovvietà assieme. Era nervoso: troppi morti in poco tempo e senza alcuna spiegazione, la stampa alle calcagna a far caciara e il sostituto procuratore a chiedere almeno una pista.
Venuti appartiene a quelle persone cui riesce facile l’ironia ed il sarcasmo verso tutti, se stessi per primo: i suoi metodi non sono convenzionali ed alle volte provocano reazioni risentite durante gli interrogatori. Aggiungete che non è un uomo avvenente, piuttosto bassino, non atletico, un grosso nasone a sormontare un paio di baffi un poco ispidi, capelli brizzolati spesso spettinati e ribelli ed il gioco presso l’interlocutore di turno è presto fatto. E’ un antipatico! E’ un borioso! E’ un maleducato! Sono le affermazioni che lo accompagnano appena lascia il colloquio con il testimone o il sospettato. Quasi nessuno però nota il suo sguardo vivo ed indagatore, la sua capacità con un colpo d’occhio di valutare le persone e allo stesso modo la scena del delitto.
Cosa lo angustiava dunque in quella serie di omicidi? Per capire lo stato d’animo si deve fare un veloce e macabro riepilogo di quanto avvenuto nei due mesi pregressi. E la mente di Venuti quello stava facendo.
Esattamente due mesi or sono la signora Belli viene rinvenuta cadavere nella casa di cura, proprio come oggi; la donnina era malata da tempo, sola al mondo, nessun parente o amico che venisse a trovarla neppure per sbaglio. Le spaccano la testa con una pesante chiave inglese mai ritrovata e meticolosamente perquisiscono la stanza lasciando tutto in un ordine perfetto.
L’ho capito dagli oggetti spostati che hanno rivelato zone senza polvere sul comodino e nei ripiani dell’armadio, molto attento comunque il nostro assassino. Abbiamo ascoltato gli inservienti a cominciare da quello che aveva rinvenuto il cadavere, poi uno per uno quelli che a quel piano lavoravano quel giorno, infine il nostro bravo dottore, un cretino o poco meglio. Il fatto strano era che nulla mancava o pareva mancare all’appello degli effetti personali della Belli, e che nessuna relazione collegava il personale alla defunta.
Dopo una ventina di giorni la stessa sorte tocca alla signorina Tiretti anche lei uccisa, ma stavolta con un fermacarte o un’arma affilata e sottile con un colpo unico al cuore.
La stanza neppure sfiorata stavolta, l’assassino non si era fermato che pochi secondi, giusto il tempo dell’omicidio. Del resto la Tiretti, malata di demenza, non avrebbe potuto reagire, forse neppure urlare. In questo caso i parenti accorsero alla casa di cura per avere gli effetti personali, e soprattutto sperando di trovare il testamento: la vecchia aveva sostanze ed immobili, ma gli inconsolabili familiari avevano scelto per lei, ormai incapace di difendersi, una struttura a basso costo. Il movente c’era, ma l’ora del delitto – prima di cena – azzerava gli spazi: in quel momento non potevano per regola della struttura essere presenti soggetti esterni.
Si era allora cercato un legame sempre tra il personale, la vittima ed i serpenti – pardon parenti -, ma assolutamente nulla era emerso. Ed ho dovuto nuovamente rapportarmi con quel cretino di medico incapace di essere di alcun aiuto.
Voi direte: un legame fra le vittime? Nemmeno per sogno, mai due persone avevano vissuto storie più disparate e mai nemmeno per sbaglio si erano incontrate prima di convivere, forse senza saperlo, nella stessa casa.
Ancora una volta introvabile l’arma del delitto…
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da Giovanni Ollino | Dic 11, 2024 | cronache, Cronache Elisabettiane
Dal libro “Nessuno sulla riva” di Elisabetta Giudici
ABITATORI DEL GIARDINO
E’ il tramonto
nel giardino dei ricci,
con le rose appena sbocciate,
inumidite di pioggia…
E’ caldo,
e l’estate
è appena da arrivare
e già si sente,
si sogna,
quei sogni tutti
possibili,
di pensieri leggeri,
diversi,
giocanti,
come perfetti vorremmo
essere,
noi stessi.
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da Giovanni Ollino | Dic 3, 2024 | cronache, Cronache Elisabettiane
dal libro “Per ogni battito del mio cuore” di Elisabetta Giudici
La mia mano
Nella tua
Attesa, sospesa
Tu che sfiori
Affidi
Questo
attimo
Oscuro
Del niente
E investi
Di luce: eternità
Del senso.
Sensi,
Ed è meglio così:
Insieme.
Sapere
o non sapere.
Sospendere,
Amore sintomo di luce:
E notte di te.
Resto
Esisto, resisto
E non
mi
cambia
Questa
Strana variante universale
E non ritorna,
Tu
Non torni .
Mistero di te,
Scelta, ricerca,
Limpidezza.
Sognavo
Speravo
La perfezione
Luce
Che
domina
Il tempo.
Se non si dice
È deciso :
Potere di una fine
prima di cominciare.
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da Giovanni Ollino | Nov 26, 2024 | cronache, Cronache Elisabettiane
dal libro “Angeli” di Elisabetta Giudici
ALBERI
Alberi di luna,
alberi di luce viola
diffusa soffusa sfilata,
sospesa, strappata
e di questa città:
è appena l’alba.
Stella di luce
nel giorno
che diventa sera
sempre più buio
e rischia
la notte eterna.
Alberi viola,
tracce di sentieri
dispersi e ritrovati.
Labirinti di gioia
che non è più fine,
di vero
che non è più vita,
di sogno,
luce,
che non è più pace,
notte
che non è più notte.
Alberi di luna,
alberi viola
gioia
che non è più sola…
Resta
eterna
in questo giorno
che non ritorna.
Sera.
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