Raccolta di Lara Pellerino

Mia mamma! Una persona che tutti dovrebbero avere l’onore di conoscere, una donna con la D maiuscola, una grande donna che ha avuto la fortuna di poter amare con la A maiuscola un uomo unico come mio papà. Ed è questo grande amore che le ha consentito di coltivare quanto di buono c’è nel suo animo.

La sua infanzia non è stata facile. Io adoravo mia nonna Elsa, ma mia mamma più volte ha sottolineato “non ho mai avuto una mamma affettuosa e spesso mi sono trovata a fare da mamma ai miei genitori fin da piccolina”… in effetti alcune foto di lei bambina lo testimoniano: pochi i sorrisi, tanti i bronci rattristati.

Questi eventi hanno causato una sofferenza fortissima nel suo piccolo cuore di bambina, ma allo stesso tempo l’hanno spronata a vivere una vita piena di valori bellissimi, piena di armonia, di gioia e di serenità, mai parca nell’esprimere i suoi sentimenti che non ha tenuto per sé, ma condiviso con tutte le persone che hanno avuto la fortuna di incontrarla nel loro cammino.

A volte mi domando come mai la sorte mi ha dato il privilegio di avere due genitori come mia mamma Bianca e mio papà Fiorino e come mai altri bambini e ragazzi sono dovuti crescere in un ambiente poco sereno.

Purtroppo, la vita mi ha poi penalizzata.

Avevo solo 17 anni quando mio papà è stato colto da un malore improvviso, da un’ischemia che nel giro di 40 giorni se l’è divorato e l’ha portato via, fisicamente, da figlia e moglie.

Il pensiero di non poterlo mai più toccare, di non poterlo mai più sentire parlare, ridere e scherzare, di non poterlo vedere invecchiare, è stato massacrante e logorante per anni. I primi mesi toglieva il fiato e ti faceva vivere come a mezz’aria, come se nulla intorno a te avesse più importanza. Ho vaghissimi ricordi di quei sei mesi successivi e mi sono risvegliata da quel torpore emozionale grazie all’arrivo della mia Chicca, la mia cucciola a quattro zampe con cui ho condiviso 11 anni di vita: per sempre resterà il Mio cane, nessun altro potrà prendere il suo posto! Col passare del tempo, questa sensazione di galleggiamento si è trasformata in rabbia, una rabbia contro la vita, una rabbia contro le persone che avevano più di 56 anni, una rabbia contro chi non si era curato nel modo adeguato di mio papà in quel reparto di neurologia, dove addirittura un giorno, la noncuranza della sanità pubblica, aveva fatto sì che mio papà cadesse dal letto. Piccolo particolare: mio papà era cieco.

Questa rabbia non mi ha consentito di far trovare pace al mio cuore, non mi ha permesso di accettare la sua morte; ho impiegato 18 anni a convincermi che la morte fa parte della vita, e che certi pensieri distruggono soltanto e non regalano conforto.

Ancora oggi faccio molta fatica a utilizzare verbi al passato quando mi riferisco a lui, per me lui è qui, sempre, qui accanto a me, è qui ad indicarmi la giusta strada e a proteggermi, come sempre ha fatto, lui vive nel mio cuore, ogni giorno.

Mio papà! Un Uomo con la U maiuscola, un Uomo, come si suol dire, d’altri tempi, un Uomo di principi, un Uomo di valori, un Uomo, certo coi suoi difetti, ma con pregi talmente enormi da mettere in ombra il resto.

Il bene che ha fatto vive ancora oggi nelle persone che lo hanno amato e continuano ad amarlo e a ricordarlo con affetto e stima.

Porto con me, nel portafoglio, una mail di mio cugino Ginetto, che come me ha il difetto di lavorare in banca: durante un viaggio di lavoro ha avuto l’occasione di parlare con una collega di Alba ipovedente, e questa ragazza aveva asserito che doveva essere grata a mio papà per la sua assunzione, così come altre decine di persone della provincia di Cuneo con problemi analoghi.

Mio papà li aveva contattati e incontrati tutti, in ogni angolo della provincia, consentendo loro di avere un lavoro e una vita normale.

Lo ricordano come un grande uomo: intelligente, altruista, preparato, capace di affrontare i problemi e trovare le soluzioni. “Una persona così non l’ho mai più trovata”, esclamò con entusiasmo questa ragazza, “desueta per questi tempi”

Mio cugino, commosso, ha voluto ricordarmi che devo essere orgogliosa di avere un papà così, un uomo davvero speciale a cui tutte le persone che l’hanno conosciuto devono molto.

Probabilmente la vita che ha vissuto, le difficoltà che ha affrontato lo hanno reso più forte anziché indebolirlo o renderlo arrabbiato nei confronti della Vita.

A 6 mesi dalla sua nascita una forte febbre lo colpì e nel 1943 i nazisti non consentirono alla nonna di poter raggiungere Alba per assicurargli tutte le cure necessarie per evitare il suo destino: diventare cieco a 13 anni. Ha vissuto come un vampiro per tutta la sua infanzia, la luce gli creava problemi e lui, con l’entusiasmo e l’energia che contraddistingue i bimbi, non vedeva l’ora di correre felice nel cortile di Bergolo, rincorrere il pallone che tanto adorava e giocare con il suo amato pastore tedesco. Sognava di fare il pilota, di volare altissimo nei cieli, ma anche se questo non l’ha potuto fare, ha volato in alto molto più di tantissimi vedenti. Non si è mai arreso: certo lo sconforto lo assalì, ma mai cedette alla sofferenza di perdere la vista definitivamente: raccolse tutte le sue forze, col suo baule andò a studiare presso la scuola di Braille a Bologna e cominciò avidamente a imparare, ad assimilare tutto e presto divorare tutti i libri della biblioteca. Il latino era una delle materie preferite: quante volte papà mi aiutò con le versioni, ma non solo, mi insegnò l’importanza di questa lingua morta, fondamentale per apprendere al meglio l’italiano, con le sue sfumature ed esprimere con grande efficacia le proprie idee.

Un giorno mi disse “Sono fortunato! Ho visto i colori, so cos’è il verde di un prato, l’azzurro del cielo, il giallo del sole e con le mani posso capire tutto. La cecità non è un handicap”

E così fu!

In casa con le sue manine e gli occhi di mia mamma riusciva a fare persino l’elettricista, l’idraulico e il muratore. Ancora oggi possiamo ammirare alcune sue opere architettoniche, come la doccia in cantina il cui cemento armato venne rinforzato utilizzando le coppe vinte ai tornei di scopone scientifico e di torball e pezzi del mio lettino. L’ingenio, grande dote!

La sua cultura, la sua educazione, la sua umanità e la sua forza di volontà sono innegabili virtù che difficilmente oggi si trovano in una persona sola.

E non lo dico perché è il mio papà.

Tante le testimonianze, ogni parola è sempre detta col sorriso e regala grande conforto al cuore sia di chi ascolta sia di chi racconta.

Avremmo sicuramente scritto un libro insieme prima o poi, probabilmente sulla vita dei nonni, sulla sua vita, su come la sua culla veniva utilizzata per coprire la botola che portava alla cantina dove venivano nascosti i partigiani. Momenti di terrore quando i nazisti entravano,  ma quanta forza e coraggio da parte dei nonni e questo coraggio non poteva che essergli trasmesso: è stato un grande esempio per tutte le persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo.

Aveva sempre la battuta intelligente pronta, la parola giusta, il supporto giusto, non ho memoria di discussioni in famiglia, non ho mai sentito alzare la voce, ricordo mamma e papà sempre insieme, a braccetto in giro, Fiò con la sua Bicco (alias mia mamma in Fiorinese, mentre Io ero Topigno!) felici, sempre pronti a condividere, sempre pronti a regalarsi momenti felici.

Mia mamma ancora oggi, dopo 26 anni, vive nel suo ricordo e mai più si è voluta rifare una vita! Impossibile sostituire papà!

Ogni giorno due telefonate, una al mattino e una al pomeriggio per sapere se tutto andava bene: all’ultima risposi io!

Erano le 16:40 dell’11 novembre 1998, la mamma era dal dottore e non era ancora tornata e papà voleva giusto sapere se la visita era andata bene. Gli raccontai del tema che stavo facendo e che non vedevo l’ora di leggerglielo appena arrivato a casa dal lavoro… dopo 2 minuti dai saluti, l’inizio dell’incubo…bastavano 2 minuti in più di telefonata insieme e sarebbe riuscito a farmi capire in qualche modo che era caduto dalla sedia, che non stava bene, che nulla era come il secondo prima, anziché attendere oltre un’ora l’arrivo dell’ambulanza.

Io ero in Via Paleocapa, seduta su una panchina insieme al mio fidanzatino dell’epoca (che ovviamente per papà non mi meritava assolutamente): ricordai il passaggio di un’ambulanza a cui rivolsi il mio sguardo, ma certo non potevo immaginare a chi fosse destinata. Arrivai a casa e nonna Elsa subito mi disse “devi andare in ospedale, hanno portato papà.”

Il gelo, la frenesia, la paura! Mio papà!? No, non è possibile, mio papà è un super eroe, sicuramente in poco tempo ne uscirà.

E tutto all’improvviso ti appare inutile perché ciò che è essenziale al motore della tua vita, al cuore, non c’è più, o ti prospettano che tutto possa finire nell’arco di pochissimo tempo. Il giorno prima programmavi la tua vecchiaia insieme, il viaggio, cosa faremo a Natale o semplicemente la cena del giorno dopo… e invece BABABAM, lo schianto! Lo sconvolgimento assoluto, non di una vita sola!

E allora ti domandi perché la Vita sia così ingiusta, provi a fare tuo il credo per cui noi siamo corpo per un’anima che si evolve e che per ogni vita, in base alle esperienze e all’obiettivo, vive pochi secondi, giorni, mesi, anni o anche un secolo e più. Ma non è facile, tu ora sei qui, e all’improvviso ti dicono che la tua metà, tuo papà, tuo figlio o il tuo migliore amico è gravissimo.

Non ci credi, vivi, anzi fluttui, senti ma non ascolti, con l’unico pensiero di non scollarti da lui. Nulla ha più importanza, nulla è importante. E ti domandi perché tale sofferenza, perché questo dolore, perché proprio a noi, perché anche a noi, PERCHE’!

49 giorni dopo l’incubo finì, quella telefonata alle 5 del mattino del 30 dicembre dall’ospedale e iniziò l’inferno!

Un dolore soffocante, ricordo ancora quella notte nel lettone con la mamma e con nonna Elsa, l’incapacità di arrendersi anche di fronte all’evidenza, lo spillo portato con me, nella speranza che fosse solo uno stato di catalessi.

E invece no. Ti portammo al cimitero di Savona, nessun funerale. Non riuscii a presenziare il giorno della cremazione, perché non potevo pensare che il mio papà potesse essere ridotto in cenere, no, non Tu!

Tu non sei lì, tu sei qui, nel mio cuore, nei nostri cuori e ora anche in Leonardo al quale racconterò e racconteremo di te e dei suoi due nonni paterni. E l’augurio è che colga i tuoi insegnamenti dalle nostre parole, ma che soprattutto colga l’essenza speciale di cui tu sei stato portatore sano.

Ti voglio bene papà!

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