Racconto giallo di Vittorio Nicoli

III Puntata

Il mattino seguente Giacomo di buon’ora venne condotto nell’ufficio di Venuti per un nuovo interrogatorio. Era un giovane molto simile all’Ettore e con la sua aria dinoccolata lo ricordava benissimo, il commissario seduto alla scrivania lo osservava in silenzio squadrandolo da capo a piedi. Fu l’interrogato a rompere il silenzio. “ Buongiorno commissario, mi dica ci sono novità sulla morte di mia nonna? Visto l’ora presta cui sono stato convocato ritengo abbia qualcosa di importante da dirmi.”

Con le dita giocava con le asole di una maglia troppo grande per la sua corporatura e dimostrava una qualche impazienza con un movimento ritmico del piede.

“A dire il vero spero che sia lei a chiarire un poco le cose e per far luce sull’omicidio; colgo l’occasione per ricostruire assieme quanto accaduto. Vediamo: circa tre giorni fa verso l’ora del vespro qualcuno si è introdotto in casa di sua nonna, presumo atteso, e l’ha strangolata. Dico ‘presumo atteso’ in quanto non ci sono segni di effrazione e ragionevolmente non è stato rubato nulla il che mi fa propendere per un alterco, una discussione finita male.” Il ragazzo annuì col capo. “Devo aggiungere che la scientifica non ha trovato niente: nessuna impronta, manca l’arma del delitto e direi manca anche un movente forte… oppure quello c’è vero Giacomo? I soldi che la nonna non voleva più regalarle per fare questa sua vita diciamo allegra.”

Il sospetto cambiò espressione e mostrò ancor più nervosismo “Ma cosa dice? Io volevo bene alla nonna! Non le avrei mai fatto del male! E poi sono io che vi ho avvisato, lo dimentica? Ero rientrato appena in città da un impegno che avevo poco lontano, ho deciso di salutare la nonna e ho trovato la porta chiusa ma senza chiavistello e dopo aver suonato ho aperto e trovato il cadavere. Quanto ai soldi, non posso negare che di tanto in tanto mi aiutasse nelle spese.”

“Poche ciance! – esplose Venuti – Ieri l’ho vista entrare in uno dei negozi più ‘in’ della città. Vuol darmi a bere che lei ha i mezzi per certe spese? Lei che quando va bene fa lavoretti saltuari?” “ Li ho guadagnati lavorando per don Carlo!” A quella frase Venuti alzò in aria un braccio con fare quasi intimidatorio, anche se il gesto voleva tacitare Giacomo per poter pensare. “Cosa ci faceva due giorni fa in canonica? Ci siamo incrociati alla sera, sono sicuro”. “Sono andato a ritirare i soldi, quelli del lavoro. Con Carlo, pardon don Carlo, ci conosciamo da ragazzi, lui è di un paese qui vicino, anche se ha qualche anno in più di noi.” “Noi chi? – chiese il commissario. “Sì, rispetto a me, ad Ettore ed altri che frequentavamo la chiesa anni fa. ” “Quindi lei conosce bene Ettore il vicino della nonna, che è come lei un perdigiorno…” Il giovane ebbe uno scatto di rabbia ed urlò “Come si permette!?”

Mastrolindo entrò di corsa nella stanza in difesa di Venuti, ma lo trovò calmo e con la situazione sotto controllo. Questi si sono messi d’accordo per far fuori la vecchia e spartirsi il malloppo, anche se non capisco cosa potesse avere un pensionata al minimo, in questo paese è già tanto se sopravvive un tal soggetto, e non crepa di fame. Eppure sono sicuro che non sia un caso.

“Senta Giacomo, si tenga a disposizione e non lasci la città per alcun motivo. Mi saluti Ettore!” Venuti sperava di suscitare una qualche reazione che però non avvenne, il ragazzo a capo chino uscì dal commissariato claudicando. Il nostro, lasciato ai suoi pensieri, cercò di riordinare le idee. E gli sovvenne una domanda: la casa della vecchia con terreno a chi sarebbe andata? Avevano svolto un ricerca? Cominciò a scartabellare sulla scrivania e finalmente saltò fuori un albero genealogico del Giacomo, figlio unico ed unico erede della nonna. Casa di proprietà. Bingo! Ora andiamo a dimostrare che il giovane non ha trovato il cadavere, ma che l’ha uccisa magari con la complicità dell’Ettore. Bisogna tornare dal nostro Don che fa il finto tonto e mi pare sappia molto di più di quanto non dica. Sarà il segreto del confessionale. Venuti prese il cappotto e la sciarpa per affrontare una primavera che non ne voleva proprio sapere, e con buon passo si avviò verso la chiesa, certo che don Carlo avesse ancora molto da dargli. Non aveva fatto venti passi che squillò il cellulare: era Mastrolindo che lo informava che qualcuno aveva rotto i sigilli della casa della vittima. Questa sì che era un sorpresa. Venuti aveva un’aria scocciata quando arrivò alla villetta della povera Rosetta ed il suo collaboratore, avvedendosene, gli rivolse uno sguardo interrogativo: avrebbe dovuto essere contento perché l’assassino era tornato sul luogo del delitto e poteva aver commesso un errore o essere stato visto da qualcuno.

“Cosa manca?” – chiese – “ avete già chiesto in giro se qualcuno ha notato movimenti strani?” “ Commissario, ad una prima indagine nulla, e chi è entrato sapeva cosa cercare, dubitiamo ci siano impronte.” Stavolta il nostro decise di fare un preciso sopralluogo, la sera dell’omicidio doveva aver trascurato qualcosa. La villetta era su due piani, collocata appena fuori dal centro abitato e circondata da un po’ di terreno; l’interno era piuttosto trascurato ricordando tempi migliori e più manutenuti. La camera da letto verso cui rivolse le attenzioni il commissario constava di un letto ad una piazza e mezza, un armadio anche lui un po’ vetusto, un comò su cui erano appoggiate fotografie in cornice e piccole suppellettili provenienti da viaggi o regali. Avrebbe giurato che ci
fosse un piatto grande posato lì sopra, di quelli dipinti a mano. Fece un passo indietro: la visione d’insieme tradiva uno spazio vuoto, giusto quello che avrebbe potuto occupare un oggetto tondo. In quel momento gli cadde l’attenzione sulle foto: ve ne era una piccola in cui un gruppo di ragazzi era immortalato in montagna, sembrava un gruppo parrocchiale ed infatti un prete ed un suo assistente erano presenti. La prese in mano per osservare da vicino i volti: guarda Ettore, Giacomo e il pretino giovane era… don Carlo.

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