Racconto giallo di Vittorio Nicoli
Seconda puntata
Venuti entrò nella stanza abitata dalla povera signora Rossi ove il medico legale e la scientifica stavano facendo i rilevamenti del caso e sbottò: ”Strangolata! ancora una morte diversa e tutto in disordine come fosse passato un ciclone”.
Il medico legale con modo piccato gli fece notare che era lui a stabilire modo e tempi del decesso, ma dovette dar ragione al commissario.
Questi, con un rapido giro dello sguardo, poté affermare con sicurezza che il disordine era voluto e creato ad arte, chi aveva agito voleva sviarli. Ovviamente nessuna arma del delitto, ma in questo caso sarebbe bastato un foulard o una piccola corda. Diede disposizione di sentire nuovamente il personale del piano, i tre omicidi erano avvenuti a piani differenti per giunta. Lui si riservò il colloquio con il Pizzi nell’ufficio da lui occupato, una specie di sarcofago – così gli era parso la prima volta -.
“Buongiorno commissario, ci rivediamo ancora purtroppo!” il volto del Pizzi tradiva sgomento e fastidio; ovviamente la presenza del Venuti lo irritava.
“Certo che se lei non smette di far morire i degenti qui la baracca chiude,” – fu l’esordio del commissario – “non credo che la direzione sia così felice, ma su con la vita, c’è la fila fuori di parenti che vogliono liberarsi dei pesi e in qualche caso mettere le grinfie sul gruzzolo”.
Pizzi gli lanciò uno sguardo cattivo e rispose “ Sarcasmo fuori luogo, pensi a fare il suo lavoro, sono due mesi dal primo omicidio e non ha trovato nulla…”
Le stesse parole del sostituto procuratore: devono essere d’accordo, forse giocano assieme a scopone, o meglio tresette col morto. Hanno ragione comunque, non sto cavando un ragno dal buco, vediamo se con questo terzo caso si riesce a capire qualcosa in più. Comunque conosco già le risposte del Pizzi. Mi dà la cartella della vittima, ne fa un veloce quanto vuoto riassunto della vita qui in struttura e mi liquida dicendo che ha da fare. Ah, mi mette in contatto con i parenti, ammesso che ci siano.
L’ufficio del Pizzi consta di una scrivania austera quasi spoglia – “neppure un fermacarte mannaggia!” – un casellario per i dossier medici dei degenti, uno per le loro note personali, – “e questo mi è sembrato strano” – un computer un po’ datato, un paio di quadri di anonimi imbrattatele, e la sua laurea incorniciata. Pareti chiare quasi stinte, pavimento scuro, ma questo non è responsabilità sua. Mette il magone, neppure una nota di vita.
Venuti ottenne il dossier ed i contatti dei parenti della Rossi: giusto per non avere qualcosa di strano, vivevano in Australia ed erano due nipoti. Addio legami, questi non vedevano la zia da due anni, forse avevano la fotografia nell’album di famiglia. Si dispose alla solita ricerca sulla vita della malcapitata per trovare assonanze con le altre vittime e per cercare un movente; ogni idea di serial killer, che tanto emozionano i cronisti e gli appassionati dei film americani, era da escludere, in quanto coincideva soltanto l’ora del delitto, la sera. Su quello doveva provare a lavorare, ma se non riusciva a capire il movente, difficile arrivare ad una soluzione.
Il personale presente al momento dei delitti era sempre diverso, trattandosi di piani diversi della struttura e la vita del Pizzi…ma che vita, era uno zombie che oltre al lavoro passava poche ore in biblioteca sempre su testi medici.
Eppure, non poteva che essere un dipendente della casa e doveva avere un nesso con i tre omicidi in qualche stramaledetto modo.
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