Racconto giallo a puntate di Vittorio Nicoli
Inizia da questa settimana un racconto a puntate di genere giallo, scritto dal fraterno amico Vittorio Nicoli, che ci terrà compagnia, con la sua suspense, per tutto il prossimo mese. Buona lettura!
La casa di cura
L’inserviente entrò nella stanza della signora Rossi per accompagnarla come ogni sera nel locale comune dove si svolgeva la cena per gli ospiti della casa di cura; la signora Rossi dimorava lì da circa cinque anni, da quando era mancato suo marito e lei aveva deciso di non pesare sui nipoti ritirandosi in buon ordine in quel luogo che la sua pensione, invero piuttosto magra, e i pochi risparmi faticosamente accumulati le permettevano di pagare.
Insomma, la casa, o se vogliamo nominarla con l’altisonante denominazione scelta dal Comune dove era situata:“ Il rifugio felice dei nonni”, non era una dimora lussuosa ed era la meta finale di persone di ceto modesto, per lo più operai e piccoli impiegati, talvolta però anche persone abbienti vittime dell’ingordigia dei parenti.
Appena varcata la soglia, la donna capì che qualcosa non tornava: la stanza era in disordine come sempre, ma un disordine strano non dettato dalla disattenzione e scarsa memoria della signora Rossi, bensì da una scientifica e meticolosa ricerca da parte di qualcuno che aveva vuotato i cassetti, aperto l’armadio, facendo cadere le grucce con i pochi abiti, vuotato e rivoltato le borsette della povera vittima.
Sì, vittima perché la Rossi era riversa a terra esanime. L’inserviente cacciò un urlo e si precipitò nel corridoio cercando aiuto mentre esclamava “Ancora! Un’altra vittima! Dio mio, Dio mio!”
Accorsero immediatamente altri colleghi e mentre uno cercava di calmare la malcapitata fortemente scossa dalla scoperta, altri due entrarono a loro volta nella piccola stanza per accertarsi del fatto. Arrivò anche il medico della struttura, un uomo alto ed austero, la cui incombente e trista figura subito provocò la ritirata degli altri inservienti, i quali fecero largo in modo che egli potesse constatare il decesso della Rossi, cosa che avvenne in brevissimo tempo.
Il medico, dottor Pizzi, lavorava in quella clinica da ormai dieci anni e come detto la sua figura incuteva rispetto e timore, malgrado nella realtà egli fosse un timido ed introverso. Giunto alle soglie dei quarant’anni non aveva ancora trovato moglie, malgrado parecchie storie naufragate proprio per la sua timidezza ai confini della patologia. Il lavoro era palesemente un ripiego: ben altra carriera aveva immaginato quando era giovane studente universitario, ma anche in questo caso la sua indole lo aveva privato di un degno riconoscimento e lo aveva portato in quel luogo piuttosto triste.
Impartì alcune veloci disposizioni: che nessuno entri, chiamate la polizia, avvisate i parenti, stop. Abituati al suo linguaggio stringato i dipendenti si disposero subito ad eseguire, solo uno – tal Marco – chiese se fosse necessario informare anche la proprietà della struttura. “Certo, certo era sottinteso” bofonchiò il Pizzi.
Circa mezz’ora dopo il commissario Venuti era sul posto. Nuovamente.
“Terzo omicidio in due mesi, per Dio! Ma è una casa per anziani o l’anticamera dell’obitorio?” Si accorse subito di aver detto una bestialità ed un’ovvietà assieme. Era nervoso: troppi morti in poco tempo e senza alcuna spiegazione, la stampa alle calcagna a far caciara e il sostituto procuratore a chiedere almeno una pista.
Venuti appartiene a quelle persone cui riesce facile l’ironia ed il sarcasmo verso tutti, se stessi per primo: i suoi metodi non sono convenzionali ed alle volte provocano reazioni risentite durante gli interrogatori. Aggiungete che non è un uomo avvenente, piuttosto bassino, non atletico, un grosso nasone a sormontare un paio di baffi un poco ispidi, capelli brizzolati spesso spettinati e ribelli ed il gioco presso l’interlocutore di turno è presto fatto. E’ un antipatico! E’ un borioso! E’ un maleducato! Sono le affermazioni che lo accompagnano appena lascia il colloquio con il testimone o il sospettato. Quasi nessuno però nota il suo sguardo vivo ed indagatore, la sua capacità con un colpo d’occhio di valutare le persone e allo stesso modo la scena del delitto.
Cosa lo angustiava dunque in quella serie di omicidi? Per capire lo stato d’animo si deve fare un veloce e macabro riepilogo di quanto avvenuto nei due mesi pregressi. E la mente di Venuti quello stava facendo.
Esattamente due mesi or sono la signora Belli viene rinvenuta cadavere nella casa di cura, proprio come oggi; la donnina era malata da tempo, sola al mondo, nessun parente o amico che venisse a trovarla neppure per sbaglio. Le spaccano la testa con una pesante chiave inglese mai ritrovata e meticolosamente perquisiscono la stanza lasciando tutto in un ordine perfetto.
L’ho capito dagli oggetti spostati che hanno rivelato zone senza polvere sul comodino e nei ripiani dell’armadio, molto attento comunque il nostro assassino. Abbiamo ascoltato gli inservienti a cominciare da quello che aveva rinvenuto il cadavere, poi uno per uno quelli che a quel piano lavoravano quel giorno, infine il nostro bravo dottore, un cretino o poco meglio. Il fatto strano era che nulla mancava o pareva mancare all’appello degli effetti personali della Belli, e che nessuna relazione collegava il personale alla defunta.
Dopo una ventina di giorni la stessa sorte tocca alla signorina Tiretti anche lei uccisa, ma stavolta con un fermacarte o un’arma affilata e sottile con un colpo unico al cuore.
La stanza neppure sfiorata stavolta, l’assassino non si era fermato che pochi secondi, giusto il tempo dell’omicidio. Del resto la Tiretti, malata di demenza, non avrebbe potuto reagire, forse neppure urlare. In questo caso i parenti accorsero alla casa di cura per avere gli effetti personali, e soprattutto sperando di trovare il testamento: la vecchia aveva sostanze ed immobili, ma gli inconsolabili familiari avevano scelto per lei, ormai incapace di difendersi, una struttura a basso costo. Il movente c’era, ma l’ora del delitto – prima di cena – azzerava gli spazi: in quel momento non potevano per regola della struttura essere presenti soggetti esterni.
Si era allora cercato un legame sempre tra il personale, la vittima ed i serpenti – pardon parenti -, ma assolutamente nulla era emerso. Ed ho dovuto nuovamente rapportarmi con quel cretino di medico incapace di essere di alcun aiuto.
Voi direte: un legame fra le vittime? Nemmeno per sogno, mai due persone avevano vissuto storie più disparate e mai nemmeno per sbaglio si erano incontrate prima di convivere, forse senza saperlo, nella stessa casa.
Ancora una volta introvabile l’arma del delitto…
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