L’ELOGIO DELLA SOLITUDINE
La solitudine, come valore e obiettivo a cui tendere, sta diventando uno dei nuovi miti della nostra civiltà.
La possibilità di impiegare il proprio tempo nella parziale o totale assenza di altre persone, e quindi senza distrazioni, senza sottostare a compromessi, e senza dover tollerare diverse abitudini e stili di vita rispetto ai nostri, è sempre più apprezzata e ricercata.
Questo fenomeno si innesta nella società attuale, caratterizzata da ritmi sempre più stressanti e incalzanti, dove la ricerca di quiete e silenzio appare spesso una chimera, con la necessità a volte di effettuare una introspezione psicologica in noi stessi, e nelle nostre nevrosi; ma probabilmente i fattori che lo determinano rientrano anche nel cambio di struttura sociale e del tipo di vita che si conduce nelle città, dove i rapporti umani sono più fugaci e difficili da mantenere rispetto alla tradizionale società contadina.
Spesso, alla rarefazione dei rapporti si abbina anche la loro superficialità, a causa della mancanza di tempo, ma anche per la disgregazione della famiglia tradizionale, sostituita da forme di convivenza temporanee e succedanee, volte ad un’ottica di più breve respiro, con inoltre sempre più nuclei familiari composti da una sola persona.
Sicuramente però, in tutto ciò ha giocato un ruolo di primo piano l’avvento della società dei consumi, basata appunto sulla produzione e sul consumo di beni, con la necessità di creare sempre nuovi bisogni da appagare, e quindi anche la necessità di guadagnare sempre di più, per soddisfare maggiori necessità di consumo.
La desertificazione dei sentimenti ha creato più ansia e insicurezza, soprattutto nelle giovani generazioni: le classi dirigenti, i responsabili delle grosse aziende, e i maghi della pubblicità sanno bene che i vuoti lasciati dalla mancanza di rapporti e relazioni vanno colmati in qualche modo, essendo l’uomo sostanzialmente un animale sociale, per cui hanno mano libera nel proporre nuovi prodotti, e indurre falsi bisogni nelle menti dei consumatori, sempre più ridotti da persone a cose, con l’unica funzione di far girare un’economia drogata, riempita di articoli inutili e a volte nocivi (vedasi ad esempio gli abnormi consumi alimentari dei paesi più sviluppati).
Ovviamente, il tutto è ora amplificato dai media, strumenti potentissimi che convogliano i comportamenti verso determinate scelte, rendendo i loro fruitori ancora meno liberi e sempre più solitari, esaltandone l’individualismo.
E, a tal proposito, è di recente attuazione l’inserimento nella Costituzione dell’Unione Europea – fortemente voluto e approvato all’unanimità da tutti gli schieramenti politici – del cosiddetto “diritto alla solitudine”, che esalta la condizione di solitudine come strumento indispensabile di dialogo con sé stessi, e la proclama diritto inalienabile dell’essere umano.
Ma tutto ormai pare orientare lo stile di vita verso forme di alienazione dalla vita comunitaria: i grandi centri urbani sempre più anonimi rispetto ai centri storici precedenti, la mancanza di veri spazi di aggregazione, i palazzoni dove si abita senza sapere se dall’altra parte del corridoio il vicino di casa sia ancora vivo, i computer e cellulari che permettono di isolarsi dalla realtà circostante; addirittura i mezzi pubblici sono fatti per mantenere le distanze: ad esempio nei treni, con i sedili distanziati che hanno sostituito gli scompartimenti, i quali creavano vicinanza e permettevano la socialità tra i viaggiatori; le epidemie di Covid, vissute in modo traumatico da molti, che hanno acuito tale ricerca di distanza per ragioni di sicurezza; infine, anche a seguito delle stesse epidemie, la nuova organizzazione del lavoro basata sullo “smart working”, il lavoro da casa fatto in totale solitudine, che ha ulteriormente accentuato l’isolamento individuale.
In questo alveo di asocialità si innesta l’impossibilità di comunicare e di creare empatia dell’uomo moderno, che si trova da solo con i suoi problemi e nessuno con cui condividerli, per cui sono fioriti recentemente molti social network, i quali permettono di esprimere i propri stati d’animo e le proprie idee, però purtroppo senza approfondimento e senza dibattito, ma solo con la volontà di affermare in qualche modo la propria identità, spesso urlata, e a volte anche con l’insulto gratuito a chi non avvertiamo come simile a noi.
Il paradosso attuale è questo: viviamo in un’era in cui la comunicazione è estremamente sviluppata, e abbiamo la possibilità di interagire con chiunque dall’altra parte del pianeta, ma si tratta di un colloquio superficiale, spesso senza dialogo, fine a sé stesso, dove prevalgono le comunicazioni mediate dalla tecnologia. Del resto, le relazioni umane autentiche sono complesse, comportano lo sforzo di comprendere l’altro, sacrificio e mediazione, spesso ci impauriscono con la loro difficoltà, mentre quelle digitali semplificano in modo elementare le cose, permettendo di evitare un vero confronto, che sarebbe invece alla base della crescita personale.
Gli esempi negativi in questo senso si sprecano: si va dall’aumento degli incidenti automobilistici, ma anche con mezzi pubblici, per distrazioni dei conducenti legate all’uso sempre più compulsivo di cellulari e tablet, spesso diventati dei veri e propri prolungamenti del corpo umano; ai fenomeni di depressione, studiati sulle persone che non ricevono abbastanza visualizzazioni e consensi alle loro pubblicazioni social; alla totale estraniazione dalla realtà di molti ragazzi che si creano identità digitali, con nomi e immagini finti sul web, grazie ai quali affermano una realtà virtuale diversa e a loro più congeniale, ma poi trasportano tale finzione anche nella quotidianità, finendo per vivere ai margini della società e divenire dei disadattati; al fiorire di relazioni amorose su internet, dove ci si frequenta solo virtualmente, senza approfondire il rapporto e senza nemmeno vedersi nella vita reale di persona, spesso arrivando persino al sesso voyeuristico, consumato a distanza, sempre comunque rigorosamente da soli, ognuno all’interno della propria stanzetta, in rassicurante solitudine; per arrivare addirittura ai suicidi di persone che avevano smarrito il cellulare, considerato come l’unico vero amico, ancorché non umano, che racchiude tutto l’universo dei propri pensieri, ricordi e passioni, e senza il quale la vita perde quindi di significato.
Insomma, quel fenomeno aberrante, che uno psicologo anni fa aveva preconizzato, definendolo “la morte del prossimo”, sta inesorabilmente prendendo piede, e appare sempre più difficile un ritorno alla riscoperta di genuini rapporti umani, basati sul confronto e la socializzazione.
(ESTRATTO DA UN SAGGIO PUBBLICATO NELL’AGOSTO 2024)
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