IL BUDGET
Sempre questa parola mi era apparsa soffocante, violenta, ossessiva: il budget!
Che fosse inteso come obiettivo da raggiungere, come risultato economico da inseguire, o come dato di vendita da ottenere sul lavoro, mi pareva che ormai tutta la mia vita, e quella del mondo nel quale vivevo, ruotasse intorno a questo concetto, assurto a regola ferrea da rispettare, e tutti ormai si conformassero a tale supremo valore, o disvalore.
Io, povero impiegato sulla soglia della mezza età, ricordavo a malapena i giorni felici della fanciullezza, dove non c’era un budget da raggiungere, e non bisognava vendere o farsi vendere nulla da nessuno, ma semplicemente godersi la vita, accontentandosi di studiare, giocare, e apprezzare l’affetto dei propri genitori.
Tutto questo però con l’età matura era rapidamente finito, e, una volta entrato nel mondo dei grandi, tutta la mia vita lavorativa era stata permeata dalla dittatura del conto economico, che nell’azienda di servizi in cui lavoravo era sempre più portata all’eccesso, classico esempio peraltro della cultura capitalistica e sempre più liberista imperante. Le pressioni alla vendita dei prodotti nei confronti dei dipendenti avevano raggiunto il livello del parossismo, ed io, come peraltro quasi tutti i miei colleghi, vivevo sempre più con angoscia la mia occupazione.
Addirittura, il concetto di budget si era esteso agli altri aspetti della vita in comunità, per cui adesso tutti cercavano di fare l’affare, nelle relazioni, come nella famiglia, persino nella scelta del partner o degli amici, ognuno finiva per effettuare un proprio calcolo mentale, estremamente assimilabile al concetto di budget, per quanto questo potesse sembrare cinico.
Ero sempre più stanco e disgustato di tale stato di cose, e avevo cercato in vari modi una salvezza, con la religione, la scienza, l’adesione ad un sindacato, ma anche in tutte queste esperienze avevo riscontrato la ricerca di un risultato a tutti i costi, che mi inseguiva ovunque.
Alla fine, mi risolsi, per estrema reazione, ad iscrivermi come volontario ad un collettivo di chiara ispirazione marxista-leninista, gestito da una società di mutuo soccorso: qui almeno si criticava in modo chiaro, e senza secondi fini o scopi di lucro, la società ultracapitalistica attuale, avente il denaro e il potere come unici valori; e giustamente la schiavitù del budget veniva violentemente attaccata come simbolo di una decadenza morale, in antitesi con i valori comunisti, improntati all’uguaglianza di tutti gli uomini, considerati come fratelli e compagni di lotta, e non produttori o consumatori di beni.
Finalmente mi ritrovavo con persone che la pensavano come me, anche se forse in modo un po’ più estremista, con le loro teorie dell’applicazione del comunismo reale a tutti gli aspetti del quotidiano, e mi sentivo inserito in un contesto che idealizzava la caduta di quel sistema diventato marcio, basato sulla vendita e sull’utile a tutti i costi realizzato nel più breve tempo possibile.
Vissi per alcuni mesi il periodo più felice e sereno della vita, sin quando gradualmente la situazione iniziò a cambiare, e mi accorsi che la realtà era in fondo molto più complessa e difficile da modificare. Il collettivo presso il quale prestavo servizio cominciò ad avere problemi di bilancio, e anche di affiliazioni: i soci erano sempre più anziani e quindi alcuni abbandonarono, non c’era molto ricambio, ed iniziarono a scarseggiare i volontari e anche i fondi per le attività prestate gratuitamente sul territorio, a favore dei più disagiati.
Per questo si tennero, sempre più frequentemente, riunioni febbrili organizzate dal direttivo, per ovviare a tale depauperamento di risorse umane e finanziarie, con richieste dapprima leggere, ma via via sempre più esplicite e incalzanti agli iscritti di reclutare nuovi adepti, di vendere testi che pubblicizzavano le loro idee, di raccogliere finanziamenti anche porta a porta, e così via.
Mi sembrò perciò di precipitare nuovamente in un incubo che già conoscevo: anche nell’ambito di un’organizzazione che aveva solo intenti di solidarietà, ripudiava fermamente l’accumulo di denaro, e dove persino la proprietà privata veniva considerata un furto, si era finito per avere una serie di budget, con le solite pressioni sempre più pesanti ed estenuanti nei confronti dei sottoposti, laddove gli obiettivi non si riuscivano a raggiungere.
Certo, in questo caso i responsabili dell’organizzazione comunista erano convinti di agire per il bene comune e volevano solo continuare la loro opera e fare bella figura nei confronti degli altri aderenti, non essendo mossi dalla necessità di un profitto, ma purtroppo, non riuscendo a ottenere grossi risultati, i loro metodi ben presto si uniformarono in modo inquietante a quelli dei capi azienda, le cui idee avrebbero voluto contrastare.
Dopo ulteriori tensioni, totalmente esasperato, finii per licenziarmi dal lavoro, e mi dimisi anche dal circolo anti-capitalista, adattandomi ad osservare gli altri che tentavano di ottenere il loro risultato economico, e accontentandomi di quel poco che avevo messo da parte per poter sopravvivere, senza più sogni ma nemmeno budget.
(da un blog di privato degli anni 2020-2030)
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