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LA KAKISTOCRAZIA (II parte)
Molti sono stati gli studi di importanti esperti politologi, sociologi e psicologi in merito, che hanno sostanzialmente identificato tre cause principali di tale situazione.
In primo luogo, viene attribuita gran parte della responsabilità alle generazioni di governanti precedenti, i quali non hanno preparato apparati dirigenziali alla loro altezza, spesso contornandosi di personalità mediocri, e depauperando progressivamente scuola ed università, al fine soprattutto di non avere persone preparate e dotate di spirito critico, in grado quindi di contestarne l’operato.
Ovviamente tali classi di funzionari e dirigenti, una volta salite al potere nella loro organizzazione o azienda, hanno favorito l’ascesa di altre persone di loro fiducia, ancora più impreparate e insignificanti, in modo da poterle controllare e non rischiare di essere oscurate da loro, in una lenta spirale negativa; il classico slogan, in questi casi utilizzato sino allo sfinimento, è: “Voglio che lavori per me soltanto gente fedele, non competente!”
Un’altra causa è sicuramente legata all’esplosione tecnologica, purtroppo mal gestita, la quale ha permesso di automatizzare molti processi, e di rendere semplici operazioni e lavorazioni, una volta demandati all’estro e alla creatività del singolo operaio o impiegato; questo ha prodotto nel cervello umano una deresponsabilizzazione, con il risultato che siamo portati a non approfondire più i temi, ma ad accontentarci di testare solo la superficie delle cose. Così come nell’informazione ci fermiamo alla sintesi della notizia senza verificarla, rendendoci quindi più simili ad un gregge belante e manipolabile, che a cittadini critici e consapevoli delle problematiche del mondo nel quale viviamo.
Infine, gli studi sul problema attribuiscono una grande responsabilità anche al crollo di molti valori e credenze politiche che hanno permeato le società occidentali sino al termine del secolo scorso, il cosiddetto “secolo breve”: infatti con il crollo del muro di Berlino, per definizione si riscontra la fine di un’era basata su determinati equilibri, sullo scontro tra blocchi supportato dalle relative ideologie, le principali delle quali, liberismo e comunismo, ancorché in contrapposizione tra loro, davano comunque un senso ad un certo tipo di organizzazione sociale.
Il tutto acuito anche dalla crisi di molte religioni, che per anni hanno fornito – comunque la si pensi – una giustificazione a valori come l’impegno e la serietà, cercando di imporre regole morali essenziali per il corretto funzionamento della società.
Tutto ciò ha approfondito il vuoto esistenziale degli uomini, diventati ormai solo consumatori di beni, e aventi come unico fine il guadagno a tutti i costi, in un circolo vizioso e parossistico, dove domina la ricerca del soddisfacimento del bisogno immediato, e quindi l’ottica di breve termine, senza la necessità di programmare e impegnarsi in piani di più ampio respiro, con una visione di conseguenza non certo lungimirante.
Oggi siamo quindi arrivati al paradosso della kakistocrazia, dove le competenze sono bandite, trionfano i peggiori a tutti i livelli, e la meritocrazia è costantemente e sistematicamente calpestata.
Ma come si può uscire da questa spirale di degrado? Probabilmente con una grave crisi, che faccia pulizia a tutti i livelli, e favorisca poi il riemergere dei valori reali di persone e cose.
(M. LA CAUSA, ex magistrato, attualmente detenuto ai lavori forzati in un penitenziario di massima sicurezza)
Per kakistocrazia (dal greco antico κάκιστος, kákistos, “pessimo” e κράτος, krátos, “comando”), anche detta peggiocrazia, si intende un governo in cui il potere è affidato ai cittadini meno competenti e qualificati, dunque ai “peggiori”. Tale parola è costruita come l’antonimo di “aristocrazia”, che secondo la sua etimologia greca è il “governo dei migliori”.
In italiano l’espressione kakistocrazia è usata in un epigramma di Vittorio Alfieri del 1797, raccolto nelle Rime, come stravolgimento sarcastico di “aristocrazia”, per lamentare la fine della Repubblica di Venezia invasa dall’esercito di Napoleone Bonaparte:
«Voi ci darete un Erre, e noi due Kappa;
(…) Scambio or vi diam, per l’ARistocrazìa,
La nostra santa KaKistocrazìa.»