Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente portale, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica.

Si concludono con il seguente i racconti a carattere storico del caro amico Vittorio Nicoli, che ringrazio vivamente per la collaborazione al mio sito; dalla prossima settimana continueremo con una serie di miei nuovi racconti distopici. Grazie a tutti per l’attenzione!

IL CAMERATA

Bussano in modo insistente alla porta.  E’ notte fonda.

Si sentono battere gli stivali, il rumore risale le scale ed arriva alle camere dell’albergo. Intimano da fuori di aprire con voce forte, quasi urlando, i passi si bloccano, i tacchi colpiscono il pavimento. Da dentro nessuna reazione, nessuna risposta. La porta allora si spalanca, portando nella semioscurità la luce forte del corridoio.

Si distinguono solo le sagome nere che stanno per entrare: urlano comandi. Un uomo stranito si alza nudo dal letto: il suo corpo è imponente ma flaccido, bianco latte nel flash delle lampade; rotea gli occhi attorno, stupito, li strabuzza quando comprende chi gli sta innanzi.

Si copre rapido mentre con le braccia accenna ad una protesta: non ha tempo, uno degli uomini lo strattona mentre grida di vestirsi veloce. A letto un giovane terrorizzato piange. Si è coperto con le lenzuola, sa che per lui si mette molto male. Sono militari gli uomini appena sopraggiunti, o sembrano tali per il loro abbigliamento: stivali lucidi, camice brune con mostrine al colletto, una fascia rossa al braccio destro. Li comanda un tizio alto e magro, con un cappotto nero in pelle che pare arrivare ai piedi, ha due occhialini tondi ed uno sguardo sinistro.

Con un gesto sentenzia la sorte del ragazzo: un secondo soldato estrae una pistola, afferra un cuscino, glielo avvicina al volto e fa fuoco.

L’uomo grasso emette un urlo direttamente rivolto al responsabile dell’operazione: lui lo conosce bene e può farlo, o meglio, forse sino a ieri poteva, stanotte ne è meno certo. Gli dice che lui è Ernst Rohm, amico personale del Fuhrer, comandante delle S.A., uno degli uomini che ha fondato il partito.

Il magro che gli sta innanzi lo sdegna con una mimica facciale evidente, e nel contempo lo irride: è Heinrich Himmler, il sadico capo delle S.S.; gli spiega che deve vestirsi veloce e seguirli, perché è in arresto proprio per ordine del cancelliere.

Rohm fatica, si impiglia con i pantaloni e le bretelle, cerca nella semioscurità la sua camicia bruna. Una sola domanda gli frulla in testa: cosa sta accadendo e di cosa lo accusano? Proprio lui, l’unico che si permette di dare del tu ad Hitler, viene tratto in arresto come un volgare ladro, e per mano di uno degli uomini che detesta di più, uno dei suoi avversari politici. Himmler lo odia per le sue tendenze sessuali, per il suo fisico non proprio prestante, ma soprattutto per la sua influenza sulle forze paramilitari che obbediscono ai suoi ordini.

Scendono le scale dell’hotel, qualcuno è uscito dalle camere per vedere cosa sta accadendo: basta uno sguardo per capire che è meglio rientrare velocemente.

Con volto scuro Rohm è attorniato dalle S.S., il passo è rapido e scandito, fuori un’auto con il motore acceso li attende. Salgono Himmler ed un suo uomo, Rohm è nel mezzo; se questa fosse un’iniziativa personale del capo delle S.S., gliela farà pagare a carissimo prezzo ma se… non può essere che proprio il suo amico Hitler lo voglia in carcere.

L’auto si avvia nella notte di Monaco destinazione carcere militare.

Nel tragitto Rohm ha rinunciato a chiedere qualsiasi ragione, non vuol prestare il fianco allo scherno del suo nemico. Guarda fuori le vie nelle tenebre, mentre lo rincorrono i fantasmi degli uomini che lui ha perseguitato con gli stessi metodi. Sono gli spartachisti cui ha spaccato le teste, gli zingari che i suoi uomini hanno arrestato dopo averli malmenati, gli ebrei odiosi arraffatori, i disadattati e i minorati, gli avversari politici e la feccia umana. Li vede agli angoli delle strade, fuori dal cono dei pochi lampioni, ridono di lui. Se conoscesse il sommo poeta italiano potrebbe affermare di esser vittima della legge del contrappasso, ma è solo un crudele ometto calvo, anzi è ancor più riprovevole per la sua appartenenza ad un gruppo minoritario e perseguitato.

Alla fine, sono giunti al cancello fatidico; i quattro uomini scendono veloci: Rohm viene accompagnato in una cella singola ed è qui che chiede di poter vedere il Fuhrer, è quasi sicuro che lui sia all’oscuro di quanto avviene. Senza tutto il lavoro fatto da Rohm, non sarebbe mai giunto al potere: ha riorganizzato i gruppi militari quando erano allo sbando, è tornato in Germania dall’altra parte del mondo proprio su richiesta di Adolf, per fare tutto questo.

Himmler gli ride in faccia: non verrà né ora né mai – dice – inutile che minacci, non sei più nessuno, se non un volgare omosessuale.

Eccola lì, l’infamia! Maledetto Himmler e le sue S.S., depravati sanguinari.

Lo lasciano solo nella stanza, un letto ed uno sgabello, un pitale seminascosto, una lampadina sopra un vecchio tavolo.

Per ordine di Himmler gli è stata lasciata una pistola, in modo che svolga da solo con dignità l’ultimo passo, questo ha voluto il cancelliere. Rohm la osserva inquieto, quando attraverso il muro entra uno spartachista con la testa fessa da cui sgorga sangue. Gli pianta gli occhi negli occhi.

Rohm è atterrito ed incredulo, l’uomo lo tocca e gli sussurra: a presto!

Con questo pezzo termina il viaggio attraverso le vite di personaggi storici, alcuni noti, altri meno, mi auguro di aver divertito quanti hanno letto i miei pezzi e stimolato qualche curiosità.

Grazie