Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente portale, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica.
IL GENERALE
Era notte fonda quando uno dei soldati di guardia entrò trafelato nella sua tenda: “Generale! Generale! Tremenda sciagura, venite voi stesso a vedere!”
L’uomo era sconvolto, malgrado cercasse di mantenere ancora un atteggiamento marziale.
Il generale lo squadrò sorpreso e quasi incline ad una reazione di rabbia per un contegno venuto meno, poi decise di capire cosa fosse accaduto, cosa avesse turbato così tanto il suo soldato.
Uscì dalla tenda con gesto imperioso e subito fu avvicinato dai suoi subalterni: i loro volti lunghi e terrei tradivano la calma dei gesti, avevano paura. Proprio loro, vincitori di tante battaglie in terra straniera, capaci dell’impossibile, audaci sino alla follia, ora innanzi a lui bambini piagnucolanti.
Fu allora che vide la testa ed ebbe un moto dallo stomaco, dal cuore, dal cervello: suo fratello… proprio la testa di suo fratello … maledetti romani, come uno scorpione lo avevano colpito in modo inatteso nel cuore, la rabbia montava da basso e faceva fremere le membra, il cervello già valutava le conseguenze di quella sconfitta.
Erano ormai dieci anni che combatteva sul suolo straniero, passando di vittoria in vittoria, seminando il terrore nelle popolazioni italiche, un nemico di nome Roma, la città che ambiva a dominare il mondo. Proprio no, non avrebbero avuto nulla ai loro piedi quei presuntuosi, malgrado la loro organizzazione, la loro forza, le loro leggi, sarebbero caduti per la loro boria. Aveva sterminato un esercito enorme a Canne, senza alcuna pietà i suoi soldati avevano finito uno ad uno i legionari appartenenti ai ceti più in vista, alle famiglie più potenti. Ed avevano pianto, eccome se avevano pianto, con i loro cuori spezzati e spauriti, proprio come lui adesso per Asdrubale, e anche loro non avevano avuto pietà del vinto, gli avevano mozzato la testa per offrirgli un macabro regalo.
“Padre! Quando ci hai insegnato l’odio verso Roma, verso la tirannide di chi ti vuol schiacciare perché sei sul suo cammino, sapevi che Asdrubale era il più debole e infatti lo hai forgiato con più tenacia, conoscevi le nostre qualità, solo un uomo poteva essere così folle e così forte da passare le Alpi, eppure hai fatto sì che questo amato fratello riuscisse dopo di me!” – urlava nella sua tenda il generale, a tal punto che il suo braccio destro si risolse ad entrare per capire.
Normalmente nessuno avrebbe osato disturbarlo, ma era necessario, i romani non avrebbero ceduto, anzi ora erano più sicuri dei loro mezzi. “Generale, le truppe ascoltano il vostro dolore, perdonatemi ma consiglio prudenza; sono ormai anni, tanti anni, che siamo in Italia, basta un nulla, uno scoramento e saremo battuti e chiusi in una trappola mortale. Capisco lo strazio del vostro cuore, e credetemi è anche il mio, ben conoscete la mia lunga militanza con i Barca”.
“Tranquillo Annone, “- rispose – “la mia mente è pronta ed il braccio sicuro, ben sai che i romani non hanno generali che possano competere con me. E questo lo sanno anche gli uomini che là fuori si interrogano”
Annone lo abbracciò con forza, a lui questo era consentito, e lo fece con l’orgoglio di essere al servizio di quella straordinaria famiglia, dalla Spagna alla campagna d’Italia, da Amilcare ad Annibale; poi uscì rapido a confortare le truppe.
Rimasto solo, o forse solo lo era sempre stato, Annibale raggiunse il braciere che ardeva nella sua tenda e si mise a fissare i giochi di luci ed ombre del fuoco. In mezzo vide il padre, quando chiese a loro fanciulli il supremo giuramento di combattere Roma sino alla morte: poco più che bambini, con gli occhi e le mani rivolte verso l’alto scandivano la formula dell’odio eterno e chiedevano il sostegno degli dei. Ma si può odiare in eterno? E quanto costa? Lo sguardo andò all’immagine della testa mozzata del fratello: padre quanto abbiamo pagato! Ed io non ho potuto far nulla, non potevo sorreggere chi era venuto per sollevarmi.
E l’astio aumentava, il livore consumava, e le faville rimandavano una dopo l’altra le immagini delle battaglie vinte, dei gladi lucenti, degli scudi spezzati, degli elmi fessi, della polvere dei cavalli … infine il suo esercito innanzi a Roma, quanto lo aveva sognato e lì giunto non seppe che fare… veramente aveva perso la grande occasione? Tradito l’alto giuramento prestato? No, quello mai, ne era sicuro, tuttavia da tempo il dubbio lo attanagliava: aveva esitato? Fratello mio, non avessi ricusato l’assedio, tu saresti ancora qui al mio fianco, forse la città sarebbe caduta.
E allora perché tornai indietro? Non volevo finisse, volevo continuare ad infliggere dolore al nemico ed ai suoi alleati, certo di essere invincibile: nessuno sapeva e sa manovrare le truppe in campo aperto come me… e allora soffrite o romani sino ad impazzire, privi dei vostri figli, con le città annerite dal mio fuoco, le campagne devastate, alla fame perché io ho il vostro grano.
Ma in fondo al cuore un’ombra tremenda ed accusatrice gli parlava: “Non hai preso Roma perché questo avrebbe significato obiettivo raggiunto, e allora la vita cosa sarebbe divenuta? Cosa avresti fatto dopo, grande generale? Avresti condotto la vita del notabile cartaginese che si occupa dei suoi affari e dei suoi commerci? Tu? L’eletto a grandi imprese? Avresti vissuto una vita vuota, senza più quella corroborante sensazione di rabbia, di forza, di violenza? No, Roma doveva vivere perché anche tu potessi continuare in una guerra eterna, sino alla fine dei tempi. Insomma, non c’è redenzione, generale, bisogna odiare sempre. Ricorda, non si sceglie chi amare ma chi odiare, ami chi puoi, ma chi odiare te lo scegli eccome. Lo culli da bambino questo senso gratificante, ti infervora tutto sino a farti tremare le mani, passare notti insonni immaginando Roma in fiamme, ma ha un prezzo e non puoi sfuggirgli. No, non è la vita, a quella semmai dà un senso che sarebbe ben arduo trovare, no, sono gli affetti, gli amici squartati, i fratelli decapitati, le voci strazianti dei morituri. E mentre ti spaccano il cuore alimentano quella grande forza che ha l’odio. Vai generale, i romani ti aspettano, uccidili piano piano.”
Il fuoco lentamente si stava spegnendo ed il dolce calore lasciava posto al freddo della notte, al buio del vuoto, ai denti ghiacciati del male e del rimorso, che dilaniavano tutto attorno a lui.